Abstract: rilevazione di corrispondenze fra caratteristiche del testo coranico e nozioni scientifiche moderne, in questo caso ascrivibili in particolare alla fisiologia umana e nello specifico al processo visivo.
Nel testo del Corano sono 7 i colori citati col loro nome proprio:
- bianco, in arabo 'abyaḍ (versetti 2:187, 7:108, 20:22, 26:33, 27:12, 28:32, 35:27, 37:46, 3:106, 3:107, 12:84);
- nero, in arabo 'aswad (2:187, 16:58, 35:27, 39:60, 43:17, 3:106, 3:106);
- verde, in arabo 'akhḍar (6:99, 12:43, 12:46, 18:31, 22:63, 36:80, 55:76, 76:21);
- rosso, in arabo 'aḥmar (35:27);
- giallo, in arabo 'aṣfar (2:69, 30:51, 39:21, 57:20, 77:33);
- blu, in arabo 'azraq (20:102);
- grigio¹, in arabo shayb (19:4, 30:54, 73:17).
Va subito precisato che i colori saranno considerati (perché così ci invita a fare l'analisi) in senso astratto, ideale, e che idealmente il bianco assoluto non è un pigmento, essendo invece la somma di tutti i colori dello spettro visibile, ma è comunque considerabile come un colore nel senso visivo della percezione. Viceversa il nero assoluto è in astratto la sottrazione di tutti i colori dello spettro visibile, ma è ugualmente considerabile come un colore nello stesso senso. Per analogia, il discorso è simile per il grigio assoluto, che può essere considerato come un prodotto del rapporto fra nero e bianco, ma che noi percepiamo comunque come un colore. Vedremo che è proprio con la percezione umana che troveremo le prime corrispondenze, e che è possibile trovare una corrispondenza specifica anche per la particolarità della coppia bianco-nero, ovvero anche per quella del grigio, cioè in definitiva per la dicotomia luce-buio.
Oltre ai 7 colori citati, è possibile rintracciare il richiamo ad altri ma in modo indiretto, allusivo: ad esempio il versetto 55:37 usa il costrutto وردة كالدهان (letteralmente "una rosa come tinta") per descrivere un violaceo cielo escatologico; 55:64 riporta il participio مدهامتان (che ha che fare con l'oscurità) per descrivere il fitto ombreggio verdeggiante dei giardini paradisiaci; 87:5 per rappresentare l'immagine dei pascoli che appassendo diventano fieno utilizza l'aggettivo أحوى, a volte tradotto come "marrone" o "color ruggine" perché indicante qualcosa che imbrunisce; 35:27 usa il costrutto غرابيب سود (letteralmente "[come di] corvi neri") per descrivere il nero corvino di certe montagne.
Poiché le allusioni sono comunque vaghe e non usano i nomi precisi dei colori, o vi si aggiungono per evocare delle sfumature, hanno poca e nessuna consistenza le rilevazioni di "miracoli" del Corano che si basassero su di esse: dalla supposta corrispondenza coi colori dell'arcobaleno scegliendo selettivamente quali delle sfumature aggiungere al conto, a quella con le ripetizioni del termine لون, colore, passando per quella con la sintesi additiva e sottrattiva, sempre tramite scelte selettive. Simili proclami, e ne ho riscontrati parecchi, si fanno spesso e volentieri beffe della vera scienza a partire dal fatto che solitamente non considerano i colori per quello che sono: lunghezze d'onda senza soluzione di continuità, che solo per comodità isoliamo e identifichiamo con quelle più rappresentative.
Filosoficamente, e non solo, si può affermare che una tavolozza dei colori universale in sé non esiste. Fisicamente, esclusa quindi la percezione soggettiva, i colori non sono altro che i diversi prodotti del rapporto fra riflessione e assorbimento della luce. È anche vero però che, in proposito, c'è qualcosa di non del tutto relativizzabile: la biologia, e, nello specifico, il processo visivo fisiologico nell'Uomo.
Quel che porto primariamente all'attenzione, in modo inedito a quanto ho potuto verificare, è che i colori nominati esplicitamente dal Corano corrispondono, con l'aggiunta del grigio, a quelli della teoria dell'opponenza cromatica, o teoria del processo opponente, proposta per la prima volta nel 1872 dal fisiologo tedesco Ewald Hering. Ad oggi questa teoria, che integra la teoria tricromatica di Young-Helmholtz, rimane uno dei pilastri fondamentali per la comprensione della percezione umana del colore, spiegandola attraverso un meccanismo di antagonismo fra 3 coppie:
- rosso-verde;
- blu-giallo;
- bianco-nero.
Il grigio può e deve essere considerato come un caso a parte da ricomprendere nella coppia bianco-nero, ma come evidente per il resto sono gli stessi colori nominati esplicitamente dal Corano. Per cui, con metodo, andiamo a sondare la teoria per capire meglio i possibili aspetti della corrispondenza.
Hering sostanzialmente osservò che certi colori sembrano essere complementari ad altri. Ad esempio, non possiamo percepire simultaneamente una luce rossastra e una verdastra nello stesso punto del campo visivo. O, ancora, non possiamo parlare di giallo tendente al blu e viceversa, perché questi colori si escludono vicendevolmente, mentre possiamo parlare di giallo tendente al rosso o di blu tendente al verde. Per il bianco e il nero possiamo notare che luminosità e buio sono inversamente proporzionali.
C'è da dire che la scienza non è ancora giunta a capire l'esatto funzionamento di questi processi. Hering arrivò alla teoria grazie soprattutto all'osservazione fenomenica, benché supportata da esperimenti, e ipotizzò l'esistenza di cellule gangliari retiniche antagoniste. Studi successivi parlano di altri tipi di cellule coinvolte nei processi: amacrine, bipolari, orizzontali, interneuroni corticali. Sebbene ognuno di questi studi sia supportato da proprie evidenze, il modo preciso in cui queste cellule operino e/o interagiscano fra loro per generare la percezione del colore è ancora oggetto di indagine.
Sono state mosse anche delle critiche alla teoria formalizzata da Hering, prime fra tutte quelle che si basano sulla mancata comprensione dell'esatto funzionamento biologico dei processi, ma tuttavia ciò non ne mina la validità generale: che sia determinata da cellule specifiche, dall'interazione di varie attività o da operazioni successive a livello puramente neurale, la teoria dell'opponenza cromatica continua a spiegare come il cervello umano interpreta i segnali che gli giungono dall'apparato visivo, integrando così la teoria tricromatica di Young-Helmholtz secondo cui la percezione dei colori è determinata da tre tipi di fotorecettori (coni) che sono stati effettivamente individuati nella retina umana, ovvero quelli per il verde, quelli per il rosso e quelli per il blu. In realtà esiste anche la visione monocromatica, assicurata principalmente da un altro tipo di cellule fotosensibili presenti nella retina: i bastoncelli. Il loro lavoro completa quello dei coni, essendo più sensibili alla luce e al movimento proprio perché dedicati solo alle variazioni di luminosità e non ai dettagli cromatici.
Quindi la posizione attualmente più accreditata presso la comunità scientifica è che teoria tricromatica e teoria dell'opponenza cromatica non siano in opposizione ma spieghino, insieme anche alla monocromia, il funzionamento generale del processo visivo attraverso due fasi successive: la teoria della visione tricromatica spiega come, insieme alla visione monocromatica, avviene la conversione della luce in segnali elettrici da inviare al cervello, mentre l'opponenza cromatica spiega come vengono interpretati i segnali.
In definitiva si può sintetizzare che le 3 coppie antagoniste identificate dalla teoria dell'opponenza cromatica rappresentano la nostra codifica neurale delle informazioni cromatiche. E queste 3 coppie contengono gli stessi colori nominati esplicitamente dal Corano, con solo l'aggiunta del grigio che si può ricomprendere nella coppia bianco-nero.
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Schematizzazione del processo visivo nell'essere umano. |
Stante quanto detto, ci sono da vagliare, a conferma o confutazione di corrispondenze con la nostra biologia, i rapporti numerici fra le ricorrenze dei colori, se ve ne sono.
Poiché il testo del Corano è tradizionalmente suddiviso in versetti, e poiché la lingua araba funziona per radici da cui originano parole di diverso significato, per vagliare questi rapporti bisogna scegliere un metodo ed attenervisi, non mischiarne vari come spesso mi capita di constatare nelle rilevazioni di "miracoli". Quello in assoluto più attendibile (poiché è possibile che il rasm originale del Corano non contenesse suddivisioni dei versetti o comunque di non tutti) è quello che tiene conto solo delle singole ricorrenze, e nella scelta fra l'utilizzare le radici o i significati (livello tecnicamente e sinteticamente definibile come maṣdar) scegliamo quest'ultimo perché anch'esso più preciso². Risulta quindi che il numero di ricorrenze per ogni singolo colore (ovvero il significato preciso del colore che origina da radici da cui derivano anche parole non attinenti direttamente al colore) è il seguente:
- bianco, 11;
- nero, 7;
- verde, 8;
- rosso, 1;
- giallo, 5;
- blu, 1;
- grigio, 3.
Ora osserviamo se ci sono dei rapporti.
Un primo dato che salta all'occhio è che le 3 ricorrenze del grigio danno un multiplo di tutte le coppie della teoria dell'opponenza cromatica: il 18 che si ottiene con la somma della coppia bianco-nero, il 9 che si ottiene con la somma della coppia verde-rosso e il 6 della coppia giallo-blu, cosa che rafforza la corrispondenza.
Una qualche ratio sembra esserci, ma una prova più solida verrebbe dal riscontrare un rapporto incrociato con la teoria tricromatica e/o con la visione monocromatica. Possiamo ripartire da quest'ultima, dal fatto che funzioni senza fare distinzioni fra i colori ovvero fra le varie lunghezze d'onda. Insieme alla particolarità teorica della coppia bianco-nero, cioè della dicotomia luce-buio, ciò suggerisce di fare delle comparazioni fra questa coppia e le altre due, vagliando quindi se ci possa essere una qualche corrispondenza su questo. Una prima annotazione apparentemente banale è che, separata la coppia bianco-nero dalle altre, i colori rosso e blu, ovvero i complementari di verde e giallo, ricorrono entrambi una sola volta. Ma siamo sempre all'interno della teoria dell'opponenza cromatica, mentre quelli che si stanno ricercando sono dei rapporti con le altre fasi del processo visivo.
Ora, il buio è assenza, non-esistenza, non-presenza, e ugualmente la teoria tricromatica ci dice che non esistono i coni del giallo. Ciò porta a confrontare ciò che "esiste" con ciò che "non esiste" ovvero non è presente.
Prima di tutto troviamo che le ricorrenze dei colori verde, rosso e blu, cioè della visione tricromatica, danno come cifra 10, e 10 è il doppio delle 5 ricorrenze degli inesistenti coni del giallo. Come 14 lo è di 7. Abbiamo trovato una ratio, ma non è tutto. Le 7 ricorrenze del buio e le 5 del giallo insieme producono la cifra 12. Tutte le altre ricorrenze messe insieme, ovvero quelle del bianco, del grigio e dei tre colori della visione tricromatica, producono invece la cifra 24. Anche qua abbiamo un doppio e una metà.
Viene fuori la seguente proporzione fra la coppia bianco-nero (che volendo rappresenta la visione monocromatica), le altre due coppie (che volendo rappresentano la visione tricromatica), e la loro somma totale (che volendo rappresenta l'intero processo di conversione della luce in segnali elettrici da inviare al cervello):
14 : 7 = 10 : 5 = 24 : 12
Un rapporto non casuale pare esserci, e lo si trova proprio mettendo in conto tanto la visione tricromatica quanto la particolarità della percezione della luminosità, ovvero la visione monocromatica. Nonché, ancor prima, le proprietà fisiche della luce stessa. E oltretutto questo rapporto è di 2 a 1: non è scontata la corrispondenza con il fatto che noi umani, come la maggior parte dei vertebrati, percepiamo un'immagine unica a partire da un apparato visivo doppio, perché, ad esempio, gli insetti, i crostacei e la maggior parte degli aracnidi hanno occhi compositi. E chissà, esseri senzienti su altri pianeti magari hanno un rapporto di 4 a 1 o di 13 a 18. La nostra è quindi una visione binoculare, che fra l'altro è caratterizzata da 3 diversi fenomeni come 3 sono le proporzioni equivalenti trovate: percezione simultanea; fusione; stereopsi. Ognuno ha a che fare col rapporto di 2 a 1 e rappresenta anche uno stadio precedente al successivo, necessario per arrivare infine alla composizione dell'unica immagine tridimensionale: la percezione simultanea è la capacità di entrambi gli occhi di apprezzare e trasmettere nello stesso istante due immagini parzialmente sovrapposte; la fusione è la capacità di coordinare gli assi visivi e formare, da due immagini affette da diversa parallasse, una rappresentazione visiva singola; la stereopsi, anche detta visione tridimensionale, è la capacità del cervello di fare valutazioni fra le due diverse immagini per trarne informazioni sulla profondità e la posizione spaziale degli oggetti.
Non essendo però da escludere che si possano trovare altri rapporti fra i numeri, si tiene per buona la sola rilevazione del rapporto di 2 a 1 e si lascia questa eventuale ulteriore corrispondenza, come anche quella con la tridimensionalità, ad ulteriori analisi.
Conclusioni.
a) Il Corano nomina i colori di quella che, sulla scorta della teoria dell'opponenza cromatica di Hering, è sinteticamente definibile come la nostra codifica neurale delle informazioni cromatiche. Oltre a questi, nomina esplicitamente solo il grigio, che può essere ricompreso nella coppia bianco-nero della teoria.
b) Si possono individuare dei rapporti numerici fra le ricorrenze di questi colori che non solo rafforzano la corrispondenza con la teoria dell'opponenza cromatica, ma contemporaneamente trovano delle corrispondenze anche con:
- la teoria tricromatica di Young-Helmholtz, ovvero la presenza nella retina di tre tipi di coni;
- la visione monocromatica, con riscontro nella presenza dei bastoncelli oltre ai coni;
c) In seconda battuta, dopo aver visto ciò che si è visto, possiamo riconsiderare i passaggi allusivi sulle sfumature come concettualmente integrativi: quanto riscontrato appare come una rappresentazione schematica, per step, ma il prodotto è che il processo visivo umano copre uno spettro da una lunghezza d'onda di circa 380 nanometri a una di circa 780, senza scalini. L'ulteriore alludere del Corano alle sfumature di colore aumenta quindi la precisione delle corrispondenze, perché collima col fatto che nella realtà non percepiamo tanto i colori per come se n'è parlato, ovvero per come li abbiamo estratti dal testo coranico e messi a comparazione con la spiegazione teorica di fenomeni fisici³, quanto diverse gradazioni degli stessi.- il fatto che il processo visivo umano è caratterizzato da una visione binoculare.
Se si fosse trovato solo a) sarebbe stato possibile, per quanto improbabile, parlare di coincidenze, ma dopo b) si può scartare come pensiero tendente al magico il ritenere che sia tutto frutto di un caso evidentemente "intelligente". Ancor meno sono da prendere in considerazione le eventuali motivazioni di chi non volesse prendere in considerazione quanto visto, o volesse giustificarlo sulla base di vuoti della storiografia da colmare con ricostruzioni compatibili: non è noto che al tempo della redazione del Corano, il VII secolo, fosse conosciuta alcuna delle nozioni di cui si è trovata corrispondenza, se non forse quella intuitiva dell'inversa proporzionalità fra luminosità e buio. Si potrebbe invece congetturare che, così come ci è arrivato Hering partendo dal ragionamento, poteva arrivarci anche Maometto in meditazione, o chi per lui, pur senza esperimenti e conoscenze avanzate. Ma per certo sappiamo solo che prima del 1872 nessuno era arrivato a formalizzare la teoria dell'opponenza cromatica, né poco prima quella della tricromia. Quindi anche spiegazioni simili reggerebbero ben poco. Oltre alla potenza della meditazione, che per altro non metto in discussione, si potrebbe tirare fuori la solita speculazione fantarcheologica per cui, ad esempio, qualche sconosciuto gruppo di sapienti era in possesso di informazioni di qualche avanzata civiltà precedente. Ma anche qua non c'è alcuna prova tangibile a supporto. C'è poi la "spiegazione" islamica tradizionale, per cui si tratterebbe di un miracolo divino e chiusa la questione. Oppure quella di una fede in opposizione a quella islamica, per cui si tratterebbe di un qualcosa di diabolico e chiusa ugualmente la questione, ma in negativo.
Non avendo noi a disposizione altre fonti e risorse attendibili, ci rimane la spiegazione del Corano stesso, questo enigmatico testo il cui ispiratore (ma non redattore) affermava di ricevere i suoi messaggi da informatori, nominalmente i malā'ika cioè gli angeli, provenienti da molto, molto lontano. Questa lontananza è ovviamente un eufemismo, perché nei messaggi gli informatori dichiarano di poter tranquillamente viaggiare 50'000 anni nello spazio (cfr. La Guida). Sarebbe assurdo crederci, e immagino lo sia per chiunque sentisse parlare per la prima volta di queste cose, ma per me sono semplicemente troppi gli OOPArt (Out Of Place Artifacts, anacronismi) incontrati in anni di analisi del testo coranico. Ho vagliato anche migliaia di false rilevazioni, e io stesso ne ho dovute scartare di mie dopo averci trovato delle falle metodologiche o concettuali (cosa che sono sempre pronto a fare) ma quelle effettive sono bastanti per porci l'interrogativo di quale sia la vera origine del Corano, inspiegabile per la storiografia ufficiale e solo in parte per quella islamica tradizionale, che almeno mette in conto l'intervento degli angeli. Quindi fra tutte le spiegazioni esposte, anche in questo caso ritengo la spiegazione fornita dal Corano, ovvero quella secondo cui - grattata via l'interpretazione tradizionale - c'è stato un cosiddetto esointervento, la paradossalmente meno assurda.
Per ulteriori conferme non posso che rimandare ancora una volta al mio manuale.
¹ A quanto ho potuto appurare il grigio è quasi sempre omesso dalle casistiche sui colori del Corano, tanto tradizionali quanto moderne. Non è forse un caso, essendo intuitivamente il grigio una sorta di non-colore. Per coerenza, però, se si considerano colori il bianco e il nero bisogna considerare tale anche il grigio. Notare che la parola shayb non è l'unica che l'arabo classico conosce per nominarlo, ma è l'unica impiegata dal Corano.
² Nello specifico sono state riportate le due ricorrenze del nero nel versetto 3:106, e sono stati esclusi i vocaboli: بيض (uova) del versetto 37: 49, derivante dalla stessa radice di 'abyaḍ; سادت/سيد (signore/signori) dei versetti 3:39, 12:25, 33:67, derivanti dalla stessa radice di 'aswad; le varianti di حمار (asino) dei versetti 2:259, 16:8, 31:19, 62:5, 74:50, derivanti dalla stessa radice di 'aḥmar.
³ Su questo particolare punto, ovvero sul necessario utilizzo di concetti metafisici da parte della scienza, e più specificatamente sul rapporto fra scienza e Corano, consiglio la lettura di almeno questo paragrafo del mio manuale messo a disposizione come paper: Metafisicità e scientificità del Corano.