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lunedì 27 maggio 2024

La Divina Scala: similitudini e differenze fra la Divina Commedia e il Libro della Scala

 Come ormai abbastanza noto, esistono diverse affinità fra la Divina Commedia di Dante Alighieri e la letteratura del Libro della Scala (Kitāb al-Mi'rāj), un insieme di testi islamici medievali di cui per comodità parleremo come di un testo unico. Fu infatti uno di questi testi, anonimi ma riportanti sostanzialmente la stessa storia di autore incerto, ad essere tradotto dall'arabo in latino, castigliano e provenzale, alla corte di Alfonso X di Castiglia. Ciò avvenne nella seconda metà del XIII secolo, qualche decennio prima che Dante cominciasse a vergare la sua Divina Commedia, ed è certo che queste traduzioni presero a girare presso gli intellettuali dell'allora Cristianità. Tutto questo è però rimasto sottotraccia, finché all'inizio del '900 diversi studiosi non hanno cominciato a rilevare e divulgare le somiglianze fra i due testi, ipotizzando che Dante avesse attinto direttamente da una delle suddette traduzioni.

 Al giorno d'oggi esistono due scuole di pensiero: quella che continua a negare il collegamento, sempre più minoritaria, e quella che lo afferma. A sua volta in questa corrente c'è chi parla di un'ispirazione, chi di una sorta di plagio, chi di una sorta di tributo esoterico. Questa diatriba è destinata a durare ancora, e si lascia la discussione ai tanti che se ne stanno occupando*. Qua ci limiteremo ad elencare alcune delle più evidenti similitudini e differenze fra i due testi, lasciando al lettore decidere quale sia il rapporto più plausibile fra di essi.

Similitudini.

 La catabasi. Entrambi i testi narrano di un viaggio nell'Aldilà con il protagonista che descrive in prima persona la sua esperienza: nel Libro della Scala è Maometto, nella Divina Commedia è Dante.

 La guida. In entrambi i testi il protagonista ha un compagno che fa da Cicerone principale, ovvero l'arcangelo Gabriele nel Libro della Scala e Virgilio nella Divina Commedia. Entrambi illustrano al protagonista il funzionamento dell'Aldilà. Entrambi a un certo punto devono abbandonare il compagno, cosicché nel Libro della Scala Maometto viene assistito da Michele mentre Dante da Beatrice e infine dalla Madonna.  

 L'Aldilà su tre livelli. In entrambi i testi ci sono due esiti principali, beatitudine eterna o eterna condanna, con però la possibilità di una redenzione in extremis. Se nella Divina Commedia il Purgatorio è dato come elemento strutturale, benché sostanzialmente inedito, nel Libro della Scala è creato da Dio grazie all'intervento di Maometto che chiede e ottiene che un certo numero di anime sia continuamente perdonato.

 Il contrappasso. La legge divina secondo la quale le punizioni dei dannati sono proporzionali e ispirate ai loro peccati, è presente in entrambi i testi. Ancor prima, è chiaramente (seppur simbolicamente) presente nel Corano, ma non nella Bibbia.

 La scala. Nel Kitāb al-Mi'rāj la scala è il principale mezzo con cui Maometto ascende al Cielo, nella Divina Commedia compare come elemento strutturale in vari punti, dall'Inferno al Paradiso. In entrambi i testi può essere intesa come rappresentazione dell'ascesa mistica.

 Il trasporto. In entrambi i testi il protagonista è per certi tratti trasportato da figure sovrannaturali, notabilmente il Burāq nel Libro della Scala e Caronte nella Divina Commedia.

 Gli incontri con figure importanti. Entrambi i testi presentano incontri e dialoghi nell'Aldilà con figure religiose e storiche; nel Libro della Scala Maometto incontra profeti e patriarchi, e nella Divina Commedia Dante incontra, oltre a profeti e patriarchi, anche personaggi della mitologia classica e dalla storia medievale.

 La porta dell'Inferno. Nel Libro della Scala c'è una porta che fa da entrata per l'Inferno e vi è incisa la shahādah, testimonianza di fede islamica. Ciò simboleggia che tutto, compreso l'Inferno, rientra nel piano divino. Dopo esservi passato attraverso, Maometto incontra un angelo che fa da tesoriere ovvero guardiano dell'Inferno. Nella Divina Commedia Dante incontra Pluto, dio della ricchezza nella mitologia classica che fa da guardiano del quarto cerchio dell'Inferno, e questi pronuncia la famosa frase: Pape Satàn, pape Satàn aleppe. La derivazione è incerta ma una delle più plausibili è dall'arabo Bāb al-Shaytān, che vuol dire "porta del diavolo", mentre non vi è consenso su come interpretare aleppe: una delle possibilità è che stia per la lettera ebraica alef, ovvero per quella araba 'alif, oppure che sia da ricondursi all'imperativo labba, fermarsi, sempre in arabo.

 La figura femminile. Nella Divina Commedia la figura di Beatrice assume progressivamente delle caratteristiche celestiali, e ugualmente nel Libro della Scala a Maometto viene mostrata la sovrannaturale figura femminile di una urì. In entrambi i casi sono figure connesse al divino.

 La visione di Dio. Entrambi i protagonisti si dichiarano impossibilitati a descrivere ciò che vedono una volta arrivati al cospetto di Dio. Se però nella Divina Commedia Dante aggiunge successivamente delle descrizioni simboliche, nel Libro della Scala Maometto si ferma alla constatazione dell'impossibilità. In entrambi i testi c'è però lo stesso elemento coreografico che, pur non essendo esso stesso Dio, caratterizza la visione: un nugolo di angeli che ruotano vorticosamente. 

 L'uso di simbolismi. In generale, entrambi i testi fanno largo uso di un linguaggio allegorico per rappresentare concetti religiosi e filosofici.

Differenze.

 Il Libro della Scala è in prosa, la Divina Commedia in versi.

 La Divina commedia è notevolmente più estesa del Libro della Scala.

 Il Libro della Scala è stato scritto in arabo classico, lingua comune nell'islam medievale a tutti gli ambiti del sapere, mentre la Divina Commedia è vergata in volgare italiano, una lingua che a livello letterario stava appena esordendo e che per questo si distacca sia dalla letteratura precedente, tanto sacra quanto profana, sia da quella coeva di pertinenza puramente sacrale e prescientifica.

 Il tono del Libro della Scala rimane sempre sacrale, formale, mentre quello della Divina Commedia mischia sacro e profano, quando non diventa addirittura triviale.

 Il viaggio inizia nel Libro della Scala con Maometto che viene chiamato da Gabriele quando si trova in un'abitazione, mentre nella Divina Commedia con Dante che si trova disperso in una foresta. Tuttavia in entrambi i casi si suggerisce che il viaggio è anche da intendersi come onirico.

 Nel Libro della Scala Maometto viene primariamente trasportato dal Burāq, mentre nella Divina Commedia Dante incontra successivamente dei trasportatori.

 Nel Libro della Scala (come prima ancora nel Corano) sono gli angeli ad amministrare le beatitudini e ad impartire le punizioni, mentre di queste ultime nella Divina Commedia si occupano i demoni. Nel Libro della Scala, tuttavia, gli angeli che si occupano delle punizioni hanno caratteristiche che potremmo definire demoniache.

 Nella Divina Commedia Dante rimane sostanzialmente uno spettatore, mentre nel Libro della Scala Maometto è parte attiva del racconto: grazie alle sue richieste a Dio si stabilisce la possibile redenzione post mortem (ovvero il Purgatorio) e si riduce il numero di preghiere giornaliere, che passa da cinquanta a cinque.

 Nel Libro della Scala la figura femminile celestiale (la urì) è conseguenza e non causa della visione divina, mentre nella Divina Commedia la Beatrice idealizzata e la Madonna giocano il ruolo di tramite necessario. Va però notato che quando Maometto viene invitato da Gabriele, e quando torna, ovvero nel mentre del viaggio onirico, si trova a casa della prima donna con cui si sarebbe voluto sposare, la quale fu data in sposa ad un altro uomo a causa della povertà di entrambi. Il suo racconto inizia con queste parole: "Ero a casa di Fakhitah...". Curiosamente, le biografie di Dante ci dicono che neanch'egli si poté mai sposare con Beatrice.

 Nel Libro della Scala Maometto incontra Gesù, e vi interagisce come fa con gli altri profeti, mentre nella Divina Commedia ciò non avviene con Dante. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe non conoscendo l'opera, né la figura né il nome di Gesù sono presenti, se non, secondo gli studiosi, in maniera simbolica.

 Nella Divina Commedia il racconto è tutto in prima persona e si chiude al culmine del viaggio. Nel Libro della Scala c'è una brevissima introduzione, un ritorno alla condizione iniziale e un epilogo in terza persona con Maometto che il giorno dopo prende a raccontare la sua esperienza notturna.

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 Come note finali aggiungo delle considerazioni. Nel Medioevo non esisteva il concetto di plagio, e un possibile rapporto diretto fra i due testi non toglierebbe niente, come taluni temono, alla grandezza della Divina Commedia, ma anzi la mostrerebbe sotto una luce nuova e volendo più intensa. Piuttosto, al tempo esistevano i concetti di eresia e apostasia, accuse per le quali si rischiava la vita. Oltre a questo, un qualunque testo con un simile marchio avrebbe potuto circolare ancor meno di altri che, come il Libro della Scala o i trattati di Averroè ed Avicenna, erano comunque considerati d'importazione. È quindi perfettamente logico che, di qualunque rapporto si possa trattare, questo sarebbe dovuto essere coperto sotto ’l velame de li versi strani. Parimenti, è comprensibile che permangano reticenze ad accettare l'eventuale cambio di un paradigma che dura da secoli. Ma ciò non deve impedire che ora questo avvenga, perché i tempi sono maturi per trovare nella Divina Commedia dei significati che possono parlare al passato quanto al presente. E perché gli strumenti per farlo si possono ritrovare proprio nel mezzo del cammino. Certo, a meno che non si sia così concentrati sul presente da non aver interesse a salire a le stelle.

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* Fra i tanti studi segnalo: Dante e l'Islam. La controversia sulle fonti escatologiche musulmane della Divina Commedia, V. Pucciarelli (2012, Irfan); Il libro della Scala di Maometto, A. Longoni (2019, BUR); Dal Corano alla Divina Commedia. Un mistero ancora irrisolto nella storia della letteratura, O.A. Bologna, H. Haidar (2021, Diarkos); Così il Profeta scalò i cieli. Dalle rielaborazioni arabe e persiane del mi‘rag di Muhammad al Libro della Scala e la Commedia di Dante, C. Saccone (2022, Ist. per l'Oriente C.A. Nallino).

Opera calligrafica di Eyas Alshayeb conservata presso il Centro di cultura italiana Dante Alighieri ad Amman (Giordania).

sabato 11 maggio 2024

Corrispondenze fra i colori nel Corano e il processo visivo nell'Uomo

Abstract: rilevazione di corrispondenze fra caratteristiche del testo coranico e nozioni scientifiche moderne, in questo caso ascrivibili in particolare alla fisiologia umana e nello specifico al processo visivo.

 Nel testo del Corano sono 7 i colori citati col loro nome proprio:

 - bianco, in arabo 'abyaḍ (versetti 2:187, 7:108, 20:22, 26:33, 27:12, 28:32, 35:27, 37:46, 3:106, 3:107, 12:84);

 - nero, in arabo 'aswad (2:187, 16:58, 35:27, 39:60, 43:17, 3:106, 3:106);

 - verde, in arabo 'akhḍar (6:99, 12:43, 12:46, 18:31, 22:63, 36:80, 55:76, 76:21);

 - rosso, in arabo 'aḥmar (35:27);

 - giallo, in arabo 'aṣfar (2:69, 30:51, 39:21, 57:20, 77:33);

 - blu, in arabo 'azraq (20:102);

 - grigio¹, in arabo shayb (19:4, 30:54, 73:17). 

Visualizzazione dei colori menzionati dal Corano, col numero romano di ricorrenze per ognuno. A differenza degli altri, il grigio è rappresentato dallo sfondo, e il numero sono le bande verticali fra le coppie. Non si sarebbe potuto infatti usare uno sfondo meno "neutro". Oltre a questo, c'è da notare che ogni numero è indicato col rispettivo colore complementare, mentre il grigio assoluto in teoria non ne ha uno. Perciò ho scelto arbitrariamente lo stesso del bianco, ma, come vedremo, non è una scelta del tutto arbitraria.

 Va subito precisato che i colori saranno considerati (perché così ci invita a fare l'analisi) in senso astratto, ideale, e che idealmente il bianco assoluto non è un pigmento, essendo invece la somma di tutti i colori dello spettro visibile, ma è comunque considerabile come un colore nel senso visivo della percezione. Viceversa il nero assoluto è in astratto la sottrazione di tutti i colori dello spettro visibile, ma è ugualmente considerabile come un colore nello stesso senso. Per analogia, il discorso è simile per il grigio assoluto, che può essere considerato come un prodotto del rapporto fra nero e bianco, ma che noi percepiamo comunque come un colore. Vedremo che è proprio con la percezione umana che troveremo le prime corrispondenze, e che è possibile trovare una corrispondenza specifica anche per la particolarità della coppia bianco-nero, ovvero anche per quella del grigio, cioè in definitiva per la dicotomia luce-buio.

 Oltre ai 7 colori citati, è possibile rintracciare il richiamo ad altri ma in modo indiretto, allusivo: ad esempio il versetto 55:37 usa il costrutto وردة كالدهان (letteralmente "una rosa come tinta") per descrivere un violaceo cielo escatologico; 55:64 riporta il participio مدهامتان (che ha che fare con l'oscurità) per descrivere il fitto ombreggio verdeggiante dei giardini paradisiaci; 87:5 per rappresentare l'immagine dei pascoli che appassendo diventano fieno utilizza l'aggettivo أحوى, a volte tradotto come "marrone" o "color ruggine" perché indicante qualcosa che imbrunisce; 35:27 usa il costrutto غرابيب سود (letteralmente "[come di] corvi neri") per descrivere il nero corvino di certe montagne.

 Poiché le allusioni sono comunque vaghe e non usano i nomi precisi dei colori, o vi si aggiungono per evocare delle sfumature, hanno poca e nessuna consistenza le rilevazioni di "miracoli" del Corano che si basassero su di esse: dalla supposta corrispondenza coi colori dell'arcobaleno scegliendo selettivamente quali delle sfumature aggiungere al conto, a quella con le ripetizioni del termine لون, colore, passando per quella con la sintesi additiva e sottrattiva, sempre tramite scelte selettive. Simili proclami, e ne ho riscontrati parecchi, si fanno spesso e volentieri beffe della vera scienza a partire dal fatto che solitamente non considerano i colori per quello che sono: lunghezze d'onda senza soluzione di continuità, che solo per comodità isoliamo e identifichiamo con quelle più rappresentative.

 Filosoficamente, e non solo, si può affermare che una tavolozza dei colori universale in sé non esiste. Fisicamente, esclusa quindi la percezione soggettiva, i colori non sono altro che i diversi prodotti del rapporto fra riflessione e assorbimento della luce. È anche vero però che, in proposito, c'è qualcosa di non del tutto relativizzabile: la biologia, e, nello specifico, il processo visivo fisiologico nell'Uomo.

 Quel che porto primariamente all'attenzione, in modo inedito a quanto ho potuto verificare, è che i colori nominati esplicitamente dal Corano corrispondono, con l'aggiunta del grigio, a quelli della teoria dell'opponenza cromatica, o teoria del processo opponente, proposta per la prima volta nel 1872 dal fisiologo tedesco Ewald Hering. Ad oggi questa teoria, che integra la teoria tricromatica di Young-Helmholtz, rimane uno dei pilastri fondamentali per la comprensione della percezione umana del colore, spiegandola attraverso un meccanismo di antagonismo fra 3 coppie:

 - rosso-verde;

 - blu-giallo;

 - bianco-nero.

 Il grigio può e deve essere considerato come un caso a parte da ricomprendere nella coppia bianco-nero, ma come evidente per il resto sono gli stessi colori nominati esplicitamente dal Corano. Per cui, con metodo, andiamo a sondare la teoria per capire meglio i possibili aspetti della corrispondenza.

 Hering sostanzialmente osservò che certi colori sembrano essere complementari ad altri. Ad esempio, non possiamo percepire simultaneamente una luce rossastra e una verdastra nello stesso punto del campo visivo. O, ancora, non possiamo parlare di giallo tendente al blu e viceversa, perché questi colori si escludono vicendevolmente, mentre possiamo parlare di giallo tendente al rosso o di blu tendente al verde. Per il bianco e il nero possiamo notare che luminosità e buio sono inversamente proporzionali.

 C'è da dire che la scienza non è ancora giunta a capire l'esatto funzionamento di questi processi. Hering arrivò alla teoria grazie soprattutto all'osservazione fenomenica, benché supportata da esperimenti, e ipotizzò l'esistenza di cellule gangliari retiniche antagoniste. Studi successivi parlano di altri tipi di cellule coinvolte nei processi: amacrine, bipolari, orizzontali, interneuroni corticali. Sebbene ognuno di questi studi sia supportato da proprie evidenze, il modo preciso in cui queste cellule operino e/o interagiscano fra loro per generare la percezione del colore è ancora oggetto di indagine.

 Sono state mosse anche delle critiche alla teoria formalizzata da Hering, prime fra tutte quelle che si basano sulla mancata comprensione dell'esatto funzionamento biologico dei processi, ma tuttavia ciò non ne mina la validità generale: che sia determinata da cellule specifiche, dall'interazione di varie attività o da operazioni successive a livello puramente neurale, la teoria dell'opponenza cromatica continua a spiegare come il cervello umano interpreta i segnali che gli giungono dall'apparato visivo, integrando così la teoria tricromatica di Young-Helmholtz secondo cui la percezione dei colori è determinata da tre tipi di fotorecettori (coni) che sono stati effettivamente individuati nella retina umana, ovvero quelli per il verde, quelli per il rosso e quelli per il blu. In realtà esiste anche la visione monocromatica, assicurata principalmente da un altro tipo di cellule fotosensibili presenti nella retina: i bastoncelli. Il loro lavoro completa quello dei coni, essendo più sensibili alla luce e al movimento proprio perché dedicati solo alle variazioni di luminosità e non ai dettagli cromatici.

 Quindi la posizione attualmente più accreditata presso la comunità scientifica è che teoria tricromatica e teoria dell'opponenza cromatica non siano in opposizione ma spieghino, insieme anche alla monocromia, il funzionamento generale del processo visivo attraverso due fasi successive: la teoria della visione tricromatica spiega come, insieme alla visione monocromatica, avviene la conversione della luce in segnali elettrici da inviare al cervello, mentre l'opponenza cromatica spiega come vengono interpretati i segnali.

 In definitiva si può sintetizzare che le 3 coppie antagoniste identificate dalla teoria dell'opponenza cromatica rappresentano la nostra codifica neurale delle informazioni cromatiche. E queste 3 coppie contengono gli stessi colori nominati esplicitamente dal Corano, con solo l'aggiunta del grigio che si può ricomprendere nella coppia bianco-nero.

Schematizzazione del processo visivo nell'essere umano.

 Stante quanto detto, ci sono da vagliare, a conferma o confutazione di corrispondenze con la nostra biologia, i rapporti numerici fra le ricorrenze dei colori, se ve ne sono. 

 Poiché il testo del Corano è tradizionalmente suddiviso in versetti, e poiché la lingua araba funziona per radici da cui originano parole di diverso significato, per vagliare questi rapporti bisogna scegliere un metodo ed attenervisi, non mischiarne vari come spesso mi capita di constatare nelle rilevazioni di "miracoli". Quello in assoluto più attendibile (poiché è possibile che il rasm originale del Corano non contenesse suddivisioni dei versetti o comunque di non tutti) è quello che tiene conto solo delle singole ricorrenze, e nella scelta fra l'utilizzare le radici o i significati (livello tecnicamente e sinteticamente definibile come maṣdar) scegliamo quest'ultimo perché anch'esso più preciso². Risulta quindi che il numero di ricorrenze per ogni singolo colore (ovvero il significato preciso del colore che origina da radici da cui derivano anche parole non attinenti direttamente al colore) è il seguente:

- bianco, 11;

- nero, 7;

- verde, 8;

- rosso, 1;

- giallo, 5;

- blu, 1;

- grigio, 3. 

 Ora osserviamo se ci sono dei rapporti. 

 Un primo dato che salta all'occhio è che le 3 ricorrenze del grigio danno un multiplo di tutte le coppie della teoria dell'opponenza cromatica: il 18 che si ottiene con la somma della coppia bianco-nero, il 9 che si ottiene con la somma della coppia verde-rosso e il 6 della coppia giallo-blu, cosa che rafforza la corrispondenza. 

 Una qualche ratio sembra esserci, ma una prova più solida verrebbe dal riscontrare un rapporto incrociato con la teoria tricromatica e/o con la visione monocromatica. Possiamo ripartire da quest'ultima, dal fatto che funzioni senza fare distinzioni fra i colori ovvero fra le varie lunghezze d'onda. Insieme alla particolarità teorica della coppia bianco-nero, cioè della dicotomia luce-buio, ciò suggerisce di fare delle comparazioni fra questa coppia e le altre due, vagliando quindi se ci possa essere una qualche corrispondenza su questo. Una prima annotazione apparentemente banale è che, separata la coppia bianco-nero dalle altre, i colori rosso e blu, ovvero i complementari di verde e giallo, ricorrono entrambi una sola volta. Ma siamo sempre all'interno della teoria dell'opponenza cromatica, mentre quelli che si stanno ricercando sono dei rapporti con le altre fasi del processo visivo. 

Schematizzazione dell'opponenza cromatica che evidenzia tre caratteristiche: il rapporto diverso fra la coppia bianco-nero e le coppie verde-rosso e giallo-blu; la gradualità con cui si passa da un estremo ideale di una coppia all'altro; la centralità del grigio.

 Torniamo sul grigio, questo colore considerato neutro e generalmente insignificante. Abbiamo detto che è una via di mezzo fra bianco, che idealmente rappresenta la luce, e nero, che ne rappresenta l'assenza cioè il buio. Il grigio assoluto idealmente riflette tanta luce quanta ne assorbe. Quindi partendo da un perfetto bilanciamento di presenza e assenza, finché non si arriva al buio totale c'è sempre una certa percentuale di luce. E fra l'altro il Corano impiega per il grigio la sola parola shayb che in una vasta gamma (رمادي, grigio generico, غامق, grigio scuro, أخزر, grigio verdastro) indica con precisione un grigio tendente al bianco. Ha quindi perfettamente senso, e anzi il Corano sembra suggerirlo, sommare le 3 ricorrenze del grigio con le 11 del bianco: otteniamo 14, e consideriamo questa cifra come rappresentante non più il bianco ma la luce. 14 è il doppio di 7, numero delle ricorrenze del nero che in questo caso rappresenta il buio.

 Ora, il buio è assenza, non-esistenza, non-presenza, e ugualmente la teoria tricromatica ci dice che non esistono i coni del giallo. Ciò porta a confrontare ciò che "esiste" con ciò che "non esiste" ovvero non è presente.

 Prima di tutto troviamo che le ricorrenze dei colori verde, rosso e blu, cioè della visione tricromatica, danno come cifra 10, e 10 è il doppio delle 5 ricorrenze degli inesistenti coni del giallo. Come 14 lo è di 7. Abbiamo trovato una ratio, ma non è tutto. Le 7 ricorrenze del buio e le 5 del giallo insieme producono la cifra 12. Tutte le altre ricorrenze messe insieme, ovvero quelle del bianco, del grigio e dei tre colori della visione tricromatica, producono invece la cifra 24. Anche qua abbiamo un doppio e una metà. 

 Viene fuori la seguente proporzione fra la coppia bianco-nero (che volendo rappresenta la visione monocromatica), le altre due coppie (che volendo rappresentano la visione tricromatica), e la loro somma totale (che volendo rappresenta l'intero processo di conversione della luce in segnali elettrici da inviare al cervello): 

14 : 7 = 10 : 5 = 24 : 12

 Un rapporto non casuale pare esserci, e lo si trova proprio mettendo in conto tanto la visione tricromatica quanto la particolarità della percezione della luminosità, ovvero la visione monocromatica. Nonché, ancor prima, le proprietà fisiche della luce stessa. E oltretutto questo rapporto è di 2 a 1: non è scontata la corrispondenza con il fatto che noi umani, come la maggior parte dei vertebrati, percepiamo un'immagine unica a partire da un apparato visivo doppio, perché, ad esempio, gli insetti, i crostacei e la maggior parte degli aracnidi hanno occhi compositi. E chissà, esseri senzienti su altri pianeti magari hanno un rapporto di 4 a 1 o di 13 a 18. La nostra è quindi una visione binoculare, che fra l'altro è caratterizzata da 3 diversi fenomeni come 3 sono le proporzioni equivalenti trovate: percezione simultanea; fusione; stereopsi. Ognuno ha a che fare col rapporto di 2 a 1 e rappresenta anche uno stadio precedente al successivo, necessario per arrivare infine alla composizione dell'unica immagine tridimensionale: la percezione simultanea è la capacità di entrambi gli occhi di apprezzare e trasmettere nello stesso istante due immagini parzialmente sovrapposte; la fusione è la capacità di coordinare gli assi visivi e formare, da due immagini affette da diversa parallasse, una rappresentazione visiva singola; la stereopsi, anche detta visione tridimensionale, è la capacità del cervello di fare valutazioni fra le due diverse immagini per trarne informazioni sulla profondità e la posizione spaziale degli oggetti.

 Non essendo però da escludere che si possano trovare altri rapporti fra i numeri, si tiene per buona la sola rilevazione del rapporto di 2 a 1 e si lascia questa eventuale ulteriore corrispondenza, come anche quella con la tridimensionalità, ad ulteriori analisi.

Conclusioni.

 a) Il Corano nomina i colori di quella che, sulla scorta della teoria dell'opponenza cromatica di Hering, è sinteticamente definibile come la nostra codifica neurale delle informazioni cromatiche. Oltre a questi, nomina esplicitamente solo il grigio, che può essere ricompreso nella coppia bianco-nero della teoria.

 b) Si possono individuare dei rapporti numerici fra le ricorrenze di questi colori che non solo rafforzano la corrispondenza con la teoria dell'opponenza cromatica, ma contemporaneamente trovano delle corrispondenze anche con:

 - la teoria tricromatica di Young-Helmholtz, ovvero la presenza nella retina di tre tipi di coni;

- la visione monocromatica, con riscontro nella presenza dei bastoncelli oltre ai coni; 

- il fatto che il processo visivo umano è caratterizzato da una visione binoculare.

 c) In seconda battuta, dopo aver visto ciò che si è visto, possiamo riconsiderare i passaggi allusivi sulle sfumature come concettualmente integrativi: quanto riscontrato appare come una rappresentazione schematica, per step, ma il prodotto è che il processo visivo umano copre uno spettro da una lunghezza d'onda di circa 380 nanometri a una di circa 780, senza scalini. L'ulteriore alludere del Corano alle sfumature di colore aumenta quindi la precisione delle corrispondenze, perché collima col fatto che nella realtà non percepiamo tanto i colori per come se n'è parlato, ovvero per come li abbiamo estratti dal testo coranico e messi a comparazione con la spiegazione teorica di fenomeni fisici³, quanto diverse gradazioni degli stessi.
 
 d) Queste rilevazioni non escludono che ci possano essere altre corrispondenze specifiche, e anzi suggeriscono che sarebbero opportune ulteriori analisi.

 Se si fosse trovato solo a) sarebbe stato possibile, per quanto improbabile, parlare di coincidenze, ma dopo b) si può scartare come pensiero tendente al magico il ritenere che sia tutto frutto di un caso evidentemente "intelligente". Ancor meno sono da prendere in considerazione le eventuali motivazioni di chi non volesse prendere in considerazione quanto visto, o volesse giustificarlo sulla base di vuoti della storiografia da colmare con ricostruzioni compatibili: non è noto che al tempo della redazione del Corano, il VII secolo, fosse conosciuta alcuna delle nozioni di cui si è trovata corrispondenza, se non forse quella intuitiva dell'inversa proporzionalità fra luminosità e buio. Si potrebbe invece congetturare che, così come ci è arrivato Hering partendo dal ragionamento, poteva arrivarci anche Maometto in meditazione, o chi per lui, pur senza esperimenti e conoscenze avanzate. Ma per certo sappiamo solo che prima del 1872 nessuno era arrivato a formalizzare la teoria dell'opponenza cromatica, né poco prima quella della tricromia. Quindi anche spiegazioni simili reggerebbero ben poco. Oltre alla potenza della meditazione, che per altro non metto in discussione, si potrebbe tirare fuori la solita speculazione fantarcheologica per cui, ad esempio, qualche sconosciuto gruppo di sapienti era in possesso di informazioni di qualche avanzata civiltà precedente. Ma anche qua non c'è alcuna prova tangibile a supporto. C'è poi la "spiegazione" islamica tradizionale, per cui si tratterebbe di un miracolo divino e chiusa la questione. Oppure quella di una fede in opposizione a quella islamica, per cui si tratterebbe di un qualcosa di diabolico e chiusa ugualmente la questione, ma in negativo.

 Non avendo noi a disposizione altre fonti e risorse attendibili, ci rimane la spiegazione del Corano stesso, questo enigmatico testo il cui ispiratore (ma non redattore) affermava di ricevere i suoi messaggi da informatori, nominalmente i malā'ika cioè gli angeli, provenienti da molto, molto lontano. Questa lontananza è ovviamente un eufemismo, perché nei messaggi gli informatori dichiarano di poter tranquillamente viaggiare 50'000 anni nello spazio (cfr. La Guida). Sarebbe assurdo crederci, e immagino lo sia per chiunque sentisse parlare per la prima volta di queste cose, ma per me sono semplicemente troppi gli OOPArt (Out Of Place Artifacts, anacronismi) incontrati in anni di analisi del testo coranico. Ho vagliato anche migliaia di false rilevazioni, e io stesso ne ho dovute scartare di mie dopo averci trovato delle falle metodologiche o concettuali (cosa che sono sempre pronto a fare) ma quelle effettive sono bastanti per porci l'interrogativo di quale sia la vera origine del Corano, inspiegabile per la storiografia ufficiale e solo in parte per quella islamica tradizionale, che almeno mette in conto l'intervento degli angeli. Quindi fra tutte le spiegazioni esposte, anche in questo caso ritengo la spiegazione fornita dal Corano, ovvero quella secondo cui - grattata via l'interpretazione tradizionale - c'è stato un cosiddetto esointervento, la paradossalmente meno assurda.

 Per ulteriori conferme non posso che rimandare ancora una volta al mio manuale.

 ¹ A quanto ho potuto appurare il grigio è quasi sempre omesso dalle casistiche sui colori del Corano, tanto tradizionali quanto moderne. Non è forse un caso, essendo intuitivamente il grigio una sorta di non-colore. Per coerenza, però, se si considerano colori il bianco e il nero bisogna considerare tale anche il grigio. Notare che la parola shayb non è l'unica che l'arabo classico conosce per nominarlo, ma è l'unica impiegata dal Corano.

 ² Nello specifico sono state riportate le due ricorrenze del nero nel versetto 3:106, e sono stati esclusi i vocaboli: بيض (uova) del versetto 37: 49, derivante dalla stessa radice di 'abyaḍ; سادت/سيد (signore/signori) dei versetti 3:39, 12:25, 33:67, derivanti dalla stessa radice di 'aswad; le varianti di حمار (asino) dei versetti 2:259, 16:8, 31:19, 62:5, 74:50, derivanti dalla stessa radice di 'aḥmar.

 ³ Su questo particolare punto, ovvero sul necessario utilizzo di concetti metafisici da parte della scienza, e più specificatamente sul rapporto fra scienza e Corano, consiglio la lettura di almeno questo paragrafo del mio manuale messo a disposizione come paperMetafisicità e scientificità del Corano.

venerdì 10 maggio 2024

Sull'arabo coranico

A differenza di quanto molti pensano all'esterno del mondo islamico, ma in parte anche all'interno, l'arabo coranico non è la lingua oggi parlata dagli arabofoni di ogni latitudine, né l'artificiale lingua araba standard moderna, ovvero la fuṣḥā, e addirittura neanche quella classica letteraria, la fuṣḥā at-turāthīyah. Certo, si basano tutte sull'arabo coranico, distanziandosene progressivamente, ma questo è considerabile a tutti gli effetti come una lingua ormai solo liturgica. Generalizzando, si dice che l'arabo utilizzi un enorme vocabolario di milioni di termini, comprensibile andando il mondo arabofono dalla Siria alle isole Comore e dall'Oman alla Mauritania, mentre si stima (poiché il concetto di parola singola nella lingua araba è vago e un calcolo definitivo non si è ancora imposto) che l'arabo coranico sia composto da un vocabolario di circa 7mila diversi termini, contando tutte le possibili varietà ascrivibili allo stesso lemma. Fra questi, alcuni si ripetono talmente tante volte che secondo una consolidata tradizione basta conoscerne qualche centinaio (sottintendendo la conoscenza della grammatica araba) per comprendere il significato letterale dell'80% del testo coranico. Allego le statistiche e il parere in merito dato da Kais Dukes (رَحِمَهُ اللَّهُ), docente di linguistica computazionale presso l'Università di Leeds e autore del Quranic Arabic Corpus, ad oggi una delle risorse più complete per le statistiche linguistiche sul Corano: 

Total number of space-seperated words = 77,430

Number of *unique* surface forms (i.e. space-separated word-forms including clitics) = 18994

Number of unique words by *stem* = 12183

Number of unique words by *root* = 1685 (not necessarily a great metric for unique word counting, e.g. pronouns have no Semitic root)

Number of unique words by *lemma* = 3382 (excluding verbs, and other words where lemma is not annotated).

[...]

As an estimate, I would say that there are at most 7,000 unique "words" in the Quran in the sense of what you would need to have a lexicon with wide-ranging coverage for the Quran. Something also interesting to note, is the Zipfian distribution. A handful of words (e.g. the top 100 words) will cover a very large percentage of the actual Quran, i.e. most verses. (the 80/20 rule).

Fonte: Number of Unique Words in the Quran (quickestwaytoquran.blogspot.com)

sabato 4 maggio 2024

Glossario degli arabismi in Dune

Particolare dalla copertina della prima edizione italiana di Dune (Editrice Nord, 1973). 
 Specialmente per caratterizzare il popolo dei Fremen, figura centrale nel fantascientifico ciclo ideato dallo scrittore statunitense Frank Herbert, nell'universo di Dune si attinge a piene mani dall'immaginario percepito e proprio della cultura arabo-islamica. Questo è un piccolo e non onnicomprensivo glossario delle parole utilizzate da Herbert nel primo omonimo romanzo, pubblicato nel 1965 da Chilton Books come raccolta delle novelle uscite a partire dal 1963 sul magazine Analog, che riprendono direttamente concetti islamici e/o termini arabi, oppure ne utilizzano il suono con un altro significato, o ancora sono costruite modificando termini esistenti per dar loro la coloritura ricercata.
 Dei termini che hanno un corrispettivo preciso, o che hanno un significato molto simile, si indicherà solo la traslitterazione, mentre per gli altri si suggerirà da dove è possibile che Herbert abbia preso ispirazione. 

ALAM AL-MITHAL: (da 'Ālām al-Miṯāl) mistico mondo delle similitudini dove non esistono limitazioni fisiche .

AL-LAT: (da al-Lāt, nome di una divinità preislamica) sole primario dell'Umanità e di ogni pianeta.

AQL: (da 'Aql) prova della ragione.

ARRAKEEN: (forse da ar-Raqīn, schiavitù) prima colonia su Arrakis e capitale planetaria.

ARRAKIS: (da Ā'rāq, dune) il pianeta un tempo conosciuto come Dune.

AULIYA: (da Auliya, plurale di Walī, devoto) tra i Zensunni, donna devota a Dio.

AYAT: (da Ayat, segno, usato anche per i versetti del Corano) segni della vita.

BARAKA: (da Baraka, benedizione, potere spirituale) santone dotato di poteri magici.

BASHAR: (forse dal nome comune arabo) ufficiale Sardaukar.

BI-LA KAIFA: (in arabo letteralmente "senza come") espressione Fremen di chiusura.

BOURKA: (da Burqa) mantello isolante dei Fremen.

BURHAN: (da Burhān) prova della vita.

DAR AL-HIKMAN: (da Dār al-Hikma) scuola di interpretazioni o traduzioni religiose.

DJINN: (da Jinn) spiriti dell'aria.

EL-SAYAL: (forse da al-Sayāl, torrente) pioggia di sabbia in una tempesta di Coriolis su Arrakis.

ERG: (dal termine omonimo, derivazione di Ā'rāq, dune) deserto su Arrakis.

FIQH: (da Fiqh, la giurisprudenza islamica) conoscenza, regola religiosa; una delle leggendarie fonti della religione dei Zensunni.

FEDAYKIN: (da Fedāyin) commando Fremen votato alla morte pur di riparare un torto.

HAJJ: (da Hajj) pellegrinaggio.

HAJRA: (da Hijra, emigrazione, notoriamente quella di Maometto da La Mecca a Medina) viaggio nel deserto.

HAL YAWM: (plausibilmente da al-Yaūm, oggi, giorno) esclamazione Fremen di soddisfazione.

IBAD: (forse da Ibāḍiyya, terza branca tradizionale dell'islam primigenio) colorazione bluastra degli occhi data da un'alimentazione ricca di melange.

ICHWAN BEDWAIN: (da Ikhwan, fratellanza, e Badawī, beduino)  fratellanza dei Fremen.

IJAZ: (forse dal nome della regione araba Hijaz) profezia.

ILM: (da 'Ilm) teologia; una delle leggendarie fonti della religione dei Zensunni.

ISTISLAH: (forse da Istislām, sottomissione) regola di comportamento in guerra.

JIHAD: (da Jihād) guerra religiosa.

KITAB AL-IBAR: (forse da Kitāb al-ibār, letteralmente "libro dei pozzi") manuale Fremen che unisce le regole per la sopravvivenza su Arrakis con quelle religiose.

KULL WAHAD: (da Kull wāhad, ognuno) esclamazione Fremen di sorpresa.

LISAN AL-GAIB: (probabilmente da Lisān al-ghayb, voce dell'invisibile) la Voce di un Altro Mondo delle leggende messianiche Fremen (vedi MAHDI).

MAHDI: (da Mahdī, figura escatologica islamica simile ad un messia) nelle leggende Fremen, Colui che ci condurrà in paradiso (vedi LISAN AL-GAIB).

MASHAD: (forse da Mashḥad, spettacolo) prova d'onore.

MAULA: (da Mawlā, padrone) schiavo.

MIHNA: (da Miḥna, prova) stagione delle prove.

MISH-MISH: (da Mishmish) albicocche.

MISR: (da Miṣr, Egitto) termine storico dei Fremen per designare se stessi.

MUAD'DIB: (da Dhi'b) topo del deserto di Arrakis e nome di battaglia scelto da Paul Atreides.

MUDIR: (da Mudīr, direttore) chi ha l'incarico di guidare.

MU ZEIN WALLAH: (forse dal turco Muezzin e da Wallāh, per Dio!) espressione di maledizione Fremen.

NAIB: (forse da Na'ib, vice) giuramento di un capo Fremen.

QANAT: (da Qanāt) canale d'acqua.

QUIZARA TAWFID: (forse da Tawfīq, guida divina) sacerdote Fremen.

RAMADHAN: (da Ramadhān) periodo di digiuno e preghiera di una religione antica, osservato dai Fremen.

RUH: (da Rūh, spirito) nelle credenze Fremen, parte dell'individuo che ha sempre radici nel mondo metafisico (vedi ALAM AL-MITHAL).

SAYYADINA: (in arabo "signori") accolito femminile nella gerarchia religiosa dei Fremen.

SHAI-HULUD: (forse da Shay', cosa, e ūlūd, nato) i giganteschi vermi delle sabbie di Arrakis.

SHAITAN: (da Shayṯān) diavolo.

SIRAT: (da ṣiraṯ) passaggio verso il paradiso descritto nella Bibbia Cattolica Orangista, testo sincretico che raccoglie le credenze delle religioni antiche.

SOOK: (da Sūq) nome dei mercati Fremen.

SUBAKH UL KUHAR: (da ṣabāḥ al-khair, buon giorno) espressione Fremen per chiedere come si sta (vedi SUBAKH UN NUR).

SUBAKH UN NUR: (da ṣabāḥ an-nūr, letteralmente "mattina di luce", risposta a "buon giorno") risposta formale all'espressione SUBAKH UL KUHAR.

TAHADDI: (da Taḥaddī) sfida.

TAHADDI AL-BURHAN: prova finale senza appello.

TAQWA: (dall'omonimo termine che vuol dire "timor di Dio") la richiesta divina a un mortale e la paura che questa provoca, ovvero il prezzo della libertà o qualcosa di grandissimo valore.

ULEMA: (dal Ulemā', dotti) iniziato alla teologia Zensunni.

UMMA: (da Ummah, comunità islamica) appartenente alla fratellanza dei profeti; utilizzato anche in modo spregiativo per indicare i fanatici religiosi.

USUL: (da Uṣūl, principi) base del pilastro, appellativo dato a Paul Atreides (vedi MAHDI).

WALI: (da Wāli, santo, patrono, persona vicina) giovane Fremen.

YA HYA CHOUHADA: (plausibilmente da , vocativo, e da Shuhāda', martiri) Lunga vita ai combattenti, espressione Fremen.

YALI: (probabilmente dal turco Yalı, costruzione su lungomare) abitazione Fremen.

YA YA YAWM: (forse da , vocativo, e Yaūm, giorno) canto Fremen.

ZENSUNNI: (forse da Sunni, sunnita in inglese, e/o da Senussi, confraternita islamica libica) nomadi antenati dei Fremen, seguaci di una setta scismatica che nel 1381 del Calendario Imperiale si distaccò dagli insegnamenti di Maometh (il cosiddetto Maometto Terzo).

giovedì 2 maggio 2024

Ricorrenze nel testo coranico: avvicinare/allontanare

Questa rilevazione è da aggiungersi a quella sul codice 10 riportata nel mio manuale.
Nel Corano sono infatti 10 entrambe le ricorrenze di queste due radici esprimenti i significati opposti di avvicinare e allontanare: zā-lām-fā e 'ayn-zā-lām. Come sempre, per non incappare in fraintendimenti circa il significato di queste particolarità del testo coranico, invito a consultare i concetti riportati nel mio manuale e riassunti in particolare nel paragrafo 2.4 dove spiego la differenza fra "miracolosità" e scientificità del Corano. Il suddetto paragrafo è visionabile anche come singolo paper attraverso questo link: Metafisicità e scientificità del Corano

Link per la verifica:

mercoledì 1 maggio 2024

Ricorrenze nel testo coranico: la radice shīn-hā-rā

 La radice trilittera shīn-hā-rā (ش ه ر) è utilizzata nel Corano per generare il termine shahr (شهر), mese, che si riscontra in questa casistica: 12 volte come singolare, 2 volte come duale e 7 volte come plurale.

 Su quest'ultima forma sappiamo che il numero sette è utilizzato dalla simbologia coranica per indicare il concetto di infinito, e quindi la ripetizione indefinita, però è ancora più interessante notare che a sua volta questo plurale è espresso 6 volte come ashhur (أَشهر) e 1 sola volta come shuhūr (شهور). Il fatto che si ripeta 2 volte la forma duale shahrayn (شهرين), che è specifica per le coppie e che ovviamente non ha un corrispettivo nella lingua italiana, non necessita di particolare commento quanto alla corrispondenza, ed è piuttosto interessante raccogliere il suggerimento quanto alla duplicazione: aggiungendo il dato agli altri otteniamo la semplice operazione 2 x 6 x 1 = 12.

 Come detto sono 12 anche le ricorrenze della forma singolare del termine shahr (شهر), mese, e a questo proposito sappiamo che il Corano dà delle indicazioni molto precise.

Parti dei versetti 9:36 e 9:37 da un passo dal mio manuale in cui riporto alcuni dei dati utili alla composizione della formula coranica sulla relatività spazio-temporale > Corano, tecnologia e vita extraterrestre
  Oltre al parallelismo fra i 12 mesi singoli e i 12 ottenuti moltiplicando quelli multipli, con questi numeri si possono fare altre operazioni. Per esempio 12 : 6 : 2 : 1, ovvero 12 : 6 : 2 = 1. Sono significative perché sono significativi di per sé i numeri forniti dalle ricorrenze. Un risultato particolarmente interessante è un'ulteriore corrispondenza con il numero 144, trovato mettendo assieme vari dati forniti dal Corano fra cui proprio quello dei mesi (cfr. La Guida), che è il quadrato di 12 ovvero 12 x 6 x 2  x 1.
 Come sempre occorre ricordare che non si stanno ipotizzando "miracoli", né "coincidenze" dal sapore inconsapevolmente magico, quanto calcoli che, data la nutrita presenza, è altamente improbabile non siano stati pensati durante la redazione del Corano (cfr. Vademecum). Soprattutto, la cosa notevole è che questi computi si mostrano a volte, come in questo caso, incastrati fra loro, cosa che porta la necessaria capacità di calcolo ad un livello ancora più alto e difficilmente immaginabile per il VII secolo.