Nel XIII secolo il mondo islamico, ormai sconfinato e decentralizzato, fu squassato dalle invasioni mongole, già dall'XI secolo si combattevano le Crociate e nel XV si sarebbe infine compiuta la Reconquista. È lecito ritenere che le conseguenze di tutti questi fattori ed eventi di natura geopolitica, insieme all’imposizione delle successioni dinastiche e alla fine delle cariche elettive, siano connesse all’esaurimento della spinta data dalla rivelazione coranica. Tuttavia ciò non basta a giustificarlo, anche perché la propulsione iniziale era stata data da ragioni di natura fondamentalmente spirituale, più che politica. Dobbiamo andare a vedere che trasformazioni generali sono avvenute a livello culturale.
Ci sono almeno tre fenomeni culturali significativi che si accompagnano a questi processi storici, che per parallelismi e concomitanza possono legittimamente ritenersi interconnessi alla decadenza che seguirà: l’imposizione della sterminata letteratura postcoranica, che è tanto ricca quanto contraddittoria e comunque favorente una prospettiva progressivamente sempre più passatista, da avanguardista che era in principio; la vittoria dell’approccio fideistico alla religione su quello speculativo e filosofico; soprattutto – per quanto riguarda questa analisi ma non solo – una codificazione che rappresenta un fenomeno insieme catalizzante e rappresentativo, ovvero la cosiddetta chiusura della porta dell’interpretazione del Corano.
Propriamente si parla di "chiusura della porta dello ijtihād" (termine che tecnicamente esprime lo "sforzo di interpretazione") in merito all’imporsi, a partire da circa il X secolo in avanti, della convinzione per cui l’interpretazione di base del Corano non dovesse procedere oltre quanto già elaborato dai commentatori più autorevoli. Il Corano è in effetti un testo enigmatico, che si presta a molte e diverse letture, alcune delle quali cominciavano ad essere destabilizzanti.
Teoricamente la chiusura si riferisce all’interpretazione del Corano a scopo giuridico, e solo nella branca sunnita, quella di gran lunga maggioritaria. Ma l’Islam non funziona per compartimenti stagni, e nella pratica la chiusura della porta dello ijtihād è un fenomeno che è coinciso storicamente con l’affievolirsi generalizzato dell’approccio razionalista e speculativo al Corano, e con l’imporsi (non solo nel sunnismo) di quello marcatamente fideista. Neanche nello sciismo duodecimano, che ha una concezione leggermente diversa di ijtihād, si può uscire fuori dai parametri fissati a partire dal suddetto periodo storico. Lo stesso vale anche per l’ibadismo e per tutte o quasi le altre branche minoritarie che si rifanno in qualche modo ad una tradizione. Le poche eccezioni, come l’ismailismo nizarita dove l’Aga Khan in carica è considerato l’interprete del Corano adatto ad ogni epoca, non cambiano il quadro e la dinamica generale, che quando troppo divergente viene considerata portare fuori dall’Islam (destino toccato al drusismo, all’alawismo e ad altre ramificazioni fra cui alcune di matrice sufi).
In pratica si assiste, dalla fine del nostro Medioevo fino all’Età Moderna, ad una sorta di cristallizzazione dottrinale che raggiunge il termine del processo verso il XV secolo. Non è un caso che gli imprescindibili commentari di esegesi (tafāsīr) siano quelli prodotti da autori che, da Ṭabarī ad al-Jalālayn passando per al-Ghazālī, al-Qurtubī, al-Bayḍāwī, Ibn Kathīr ed altri, operarono prima del XV secolo. Dopo, fino ai tempi più recenti, è quasi come se calasse il silenzio. O meglio, l’opposto dello ijtihād che è il taqlīd, l’imitazione. Imitazione ferrea, rigida, statica. Ciò ha permesso di preservare le letture elaborate nell’Epoca d’Oro, che i musulmani considerano generalmente come connaturate alla rivelazione coranica e dunque come atemporali.
A un esame attento, o comunque condotto utilizzando gli strumenti forniti da materie come l’epistemologia e l’ermeneutica moderne, ovvero fuori dall’ambito religioso, le letture tradizionali risultano invece per quel che sono: elaborazioni di un determinato periodo storico, strettamente legate – come del resto si potrebbe dire per tutti i testi sacri e non - ai contesti che le hanno prodotte. In questa analisi non saranno prese in considerazione, perché ciò che si vuole andare a vedere è proprio cosa può venire fuori riaprendo la suddetta porta.
Vero è che ci sono stati pensatori modernisti che, come l’egiziano Jawād at-Tanṭāwī, sono arrivati a bussare a quella porta, senza però provare ad aprirla per paura di doverla scardinare. All’opposto, antimodernisti come Sayyid Qutb, anch’egli egiziano, hanno guardato dalla serratura, e dopo aver intravisto qualcosa che, in un certo qual senso, ne giustifica la chiusura, hanno pensato che sarebbe ancora meglio fosse chiusa a doppia mandata. Quel che si cercherà di fare è di usare una chiave che, senza forzare il testo, ne permetta la lettura con gli occhi del presente, guardando al futuro come facevano coloro che furono testimoni della Rivelazione.
© 2025 - Estratto dalla versione rieditata di uno scritto già apparso sulla rivista XTimes n.191 del Settembre 2024 (X Publishing, pp.26-35) col titolo “Il Corano E Gli Extraterrestri”.