Non molti sanno che non tutti i musulmani digiunano durante il mese lunare di Ramaḍān. O meglio, non tutti i musulmani intendono allo stesso modo il digiuno (nel Corano indicato coi gli infiniti sostantivati ṣiyām e ṣawm o col verbo ṣāma). E che, oltre a questo, non c'è un solo modo di praticarlo anche per coloro che si attengono alle dottrine maggioritarie.
Fra chi si discosta dalla pratica comunemente nota (astenersi dal mangiare e dal bere durante il giorno) ci sono gli aderenti a branche minoritarie ma tradizionali dello sciismo, come l'alevismo, alcuni tipi di ismailismo, il bektashismo e l'alawismo, o a correnti interne al sunnismo, come certe declinazioni antinomiste del sufismo, per arrivare al moderno coranismo, dove le interpretazioni e le tradizioni sedimentatesi nei secoli hanno poco o nessun peso.
Sostanzialmente le versioni alternative mettono l'accento sull'aspetto spirituale del digiuno, presente anche nella pratica maggioritaria che però tiene in pari conto quello fisico, e in cui le motivazioni si basano in genere su letture di alcuni passaggi del Corano diverse rispetto a quelle più comuni. La maggior parte dei musulmani fonda la propria pratica sugli stessi, associati alle raccolte di aḥādīth e alle tradizioni consolidate, e difficilmente converrebbe su possibilità altre rispetto a quella predominante. Vediamo invece perché, ferma restando la legittimità delle interpretazioni e della pratica maggioritarie, anche le interpretazioni e le pratiche alternative sono non solo legittime ma plausibili.
Premessa: i sostantivi generalmente intesi/tradotti come 'digiuno' e il verbo inteso/tradotto come 'digiunare' vengono tutti dalla radice ṣ-w-m (in arabo ص-و-م), e possono intendersi/tradursi anche solo come 'astensione/astenersi'. Si preferirà questa resa (meno comune ma comunque letterale) per spiegare i concetti.
Il primo passaggio importante è quello che istituisce la pratica generale.
"È nel mese di Ramaḍān che [per primo] abbiamo fatto scendere il Corano, guida per gli Uomini, prova di retta direzione e distinzione. Chi di voi lo testimoni si astenga".¹
Quindi ci si astiene da qualcosa per testimoniare la
Rivelazione. Qual è il nesso? Per i musulmani è generalmente scontato: si chiede di dare una testimonianza a Dio, al mondo e a se stessi, attraverso un processo di purificazione corporale e spirituale. Ammessa e non concessa questa funzione, c'è anche una logica precisa dietro l'associazione fra Rivelazione e astensione? Sì, c'è: viene chiesto di far spazio alla Rivelazione, più del
normale, per testimoniarne l'importanza.
Il passaggio chiave che spiega questo rapporto vede protagonisti - per taluni sorprendentemente - Maryam (Maria) e 'Īsā (Gesù), nel
momento del concepimento miracoloso di quest’ultimo che è anche l'inizio della
sua missione profetica. Qua diventa evidente come in questo contesto la
radice ṣ-w-m, la cui derivazione specifica ṣawm viene stavolta intesa dagli
esegeti col concetto di "voto di silenzio" (e qui resa come
'astensione'), possa significare esattamente l'astenersi da qualsiasi cosa non
sia la Rivelazione.
"[Maria] lo concepì, e in quello stato si ritirò in un luogo lontano.
I dolori del parto la condussero presso il tronco di una palma. Diceva: «Povera me! Fossi morta prima di tutto ciò e fossi già del tutto dimenticata!».
Fu chiamata dal basso: «Non ti affliggere, perché il tuo Signore ha posto un ruscello ai tuoi piedi; scuoti il tronco della palma: lascerà cadere su di te datteri freschi e maturi. Mangia, bevi e rinfrancati. Se poi incontrerai qualcuno, di’: “Ho promesso un'astensione al Compassionevole e oggi non parlerò a nessuno”».
Tornò dai suoi portando [il bambino]. Dissero: «O Maria, hai commesso un abominio! O sorella di Aronne, tuo padre non era un empio né tua madre una libertina».
Maria indicò loro [il bambino]. Dissero: «Come potremmo parlare con un infante nella culla?».
[Ma Gesù] disse: «In verità sono un servo di Dio. Mi ha dato la Scrittura e ha fatto di me un profeta. Mi ha benedetto ovunque sia e mi ha imposto l’orazione e la decima finché avrò vita, e la bontà verso colei che mi ha generato. Non mi ha fatto né agitato né ignavo. Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno in cui sarò resuscitato a nuova vita».
Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità della quale essi dubitano".²
Maria dunque non parla, lo lascia fare a un Gesù bambino sovrannaturale che rappresenta la parola divina a lui assegnata, cioè la Rivelazione tutta. Si astiene quindi dal mettere del suo, digiuna da sé, e dal mondo, facendo spazio alla "parola di verità". Allo stesso modo, durante il mese di Ramaḍān viene chiesto al musulmano di rafforzare la sua attenzione e la sua adesione alla rivelazione coranica. Interessante fra l'altro notare che, a fronte delle nove volte che compare nel Corano il termine ṣiyām, questa è l'unica in cui viene impiegato il sinonimo ṣawm, con cui viene più comunemente e specificatamente indicato il digiuno di Ramaḍān.
Possiamo adesso introdurre in questa sequenza il versetto in assoluto il più importante nel determinare la pratica del digiuno fisico, e l'unico che la giustifichi. Si vedrà, con questa resa estremamente letterale, come l'immagine impiegata dal Corano (il filo bianco e il filo nero) sia molto particolare, e infatti non manca chi, specialmente fra i coranisti, arriva a mettere in dubbio tout court che si stia parlando di luce e buio. Senza addentrarci nelle interpretazioni più ardite, andiamo a vagliare cosa si possa leggere di diverso da quelle più comuni.
"Vi è permesso, nelle notti dell'astensione, accostarvi alle vostre donne; esse sono per voi una veste, e voi siete una veste per loro. Dio sa come ingannavate voi stessi, così ha accettato il vostro pentimento e vi ha perdonati. Frequentatele, dunque, e cercate [pure] ciò che Dio vi ha concesso. E mangiate e bevete fin quando diventeranno distinti il filo bianco dal filo nero, all'alba; quindi astenetevi [di nuovo] fino a sera. Ma non frequentatele [neanche di notte] quando siete in ritiro nelle moschee. Ecco i limiti di Dio, non vi avvicinate! Così Dio spiega agli Uomini i Suoi segni, affinché siano timorati".³
Notare che il passaggio sul mangiare e il bere è all'interno di un passo che sostanzialmente concede agli uomini in raccoglimento di fare delle pause e stare insieme alle proprie consorti. Sembra quasi un'intromissione, un'interferenza, perché il versetto inizia e finisce con questo tema. Ma, se aggiungessimo nella traduzione una piccola spiegazione, si potrebbe riscontrare una coerenza inaspettata: " E [durante lo stare insieme] mangiate e bevete [pure] fin quando diventeranno distinti il filo bianco dal filo nero, all'alba". In questo caso il focus sarebbe sullo stare (o il non stare) insieme, non sul mangiare e il bere, o il non farlo: si starebbe dicendo che il mese di Ramaḍān è sì dedicato esclusivamente alla Rivelazione, ma durante la notte è concessa l'intimità, e volendo un minimo di festività cioè di "profanità", nel momento del ricongiungimento famigliare. A patto però di non trovarsi in ritiro anche durante la notte. Poi il giorno dopo dovrebbe ricominciare la dedizione totale, che implica un certo isolamento come isolato era Maometto quando ricevette il primo messaggio nella caverna sul monte Ḥirā'.
A questo proposito esiste un importante ḥadīth che, pur senza considerarlo normativo come il Corano, vale la pena riportare. Compreso nella raccolta più autorevole in assoluto, quella prodotta nel IX secolo dal persiano al-Bukhārī, racconta che la moglie di Maometto 'Ā'isha bint Abī Bakr avrebbe appreso dal Profeta in persona che la prima rivelazione avvenne in questo modo:
[Maometto] prese amore per la solitudine. Si isolava in una grotta sul monte Ḥirā', e vi si dedicava alla devozione, cioè all'adorazione, per molte notti, prima di tornare in famiglia. Perciò si riforniva di provviste, poi tornava da Khadīja e di nuovo si riforniva, finché giunse la Verità. Mentre stava nella grotta di Ḥirā' si presentò a lui l'angelo e gli disse: «Proclama!». Egli raccontò: "Gli dissi: «Non so proclamare!». Allora mi afferrò e mi strinse finché ripresi le forze, poi mi lasciò e disse: «Proclama!». Risposi: «Non so proclamare!». Mi afferrò e mi strinse per la seconda volta, finché ripresi le forze, poi mi lasciò e disse: «Proclama, nel nome del tuo Signore, che ha creato. Ha creato l'Uomo da un grumo di sangue! Proclama! Che il tuo Signore è il più generoso»". Dopo questo, l'Inviato di Dio - Iddio lo benedica e gli dia eterna salute - fuggì verso casa col cuore tremante, si presentò a Khadīja bint Khuwaylid, e disse: «Copritemi, copritemi». Lo avvolsero in un mantello finché lo spavento non lo lasciò; parlò allora a Khadīja informandola dell'accaduto.⁴
Questo racconto, se preso per veritiero, dovrebbe suggerire proprio che, per testimoniare l'inizio della Rivelazione come da ingiunzione coranica, e a imitazione dell'agire di Maometto come sostiene di fare chiunque segua la Sunna, ci si dovrebbe isolare periodicamente fino al successivo ricongiungimento. E così via per tutto il mese sacro. Ma si parla anche di provviste utili a trascorrere il periodo di isolamento, che, sempre stando all'ingiunzione coranica, sarebbe durante il giorno. Quindi, fra le astensioni, rimarrebbe solo quella dalla socialità. Va detto che la Sunna ha, come detto, una valenza relativa, teoricamente secondaria anche secondo la tradizione islamica, e che, essendo fondata su una letteratura sterminata, può generare direttive anche molto contrastanti fra loro, dunque si è riportato questo ḥadīth più che altro come esempio della possibilità di desumere pratiche alternative anche da essa, a seconda dei racconti presi in esame.
Tornando al Corano, un altro versetto significativo stabilisce la licenza per chi è momentaneamente impossibilitato, come i malati o i viandanti, e la possibilità di una pratica espiatoria (fadyah) per chi è impossibilitato a tempo indeterminato.
"Chi di voi fosse malato oppure in viaggio, [lo faccia] in altri giorni. E per coloro che [difficilmente] lo sopporterebbero c'è un riscatto: sfamare un indigente. E chi farà ancora di più, buon per lui. Però sarebbe meglio per voi che digiunaste, se [lo] capite".⁵
Ciò determina che anche chi non nega la pratica maggioritaria possa, per attenersi alle indicazioni coraniche secondo l'interpretazione tradizionale, praticare il digiuno spirituale sulla propria persona e quello fisico sui propri beni e il proprio tempo, trattandosi evidentemente di atti di beneficenza. Ma determina anche il fatto che, nelle interpretazioni alternative, l'astensione spirituale possa essere ritenuta superiore a qualunque pratica fisica.
Va ribadito ulteriormente che l'aspetto spirituale del digiuno è ben presente anche nella teoria dell'interpretazione maggioritaria, e che quello fisico (l'astrarsi carnalmente dal mondo contingente, la dunyā, che spesso il Corano subordina alla ākhirah, la vita eterna) non dovrebbe comunque mancare, per coerenza, anche in quelle alternative. Ma come dimostrato è perfettamente legittimo mettere l'accento sulla lettura e la meditazione più assidue del Corano, l'austerità e il rifuggire qualunque frivolezza, il correggere abitudini sconvenienti, il dedicare tutto se stessi a Dio, piuttosto che su una pratica di mortificazione fisica quando non una semplice inversione del giorno con la notte. Nella quale, non di rado, la seconda finisce per divenire occasione per eccessi, di gola e non solo, che sono quanto di più lontano ci possa essere da una testimonianza di fede nel messaggio coranico. Una delle sue direttive fondamentali è infatti la wasaṭ (moderazione, morigeratezza, equilibrio), chiamata in causa proprio come applicazione e dimostrazione pratica del suo contenuto:
"Abbiamo fatto di voi una comunità equilibrata, affinché foste una testimonianza davanti all'Umanità così come il Profeta lo è per voi".⁶
Ciò che deve infine emergere da questa breve disamina, brevissima tenendo conto dell'importanza che il tema riveste nell'islam odierno dove è considerato uno dei pilastri della fede, è che, se è vero che praticare il ṣiyām/ṣawm è un'ingiunzione coranica, durante il mese di Ramaḍān e non solo, la messa in pratica di questo comandamento è determinata fondamentalmente dalla sua interpretazione, dall'ulteriore apporto o dall'esclusione della Sunna, e dall'attenersi o meno alle tradizioni affermatesi nei secoli. È riscontrabile in ciò un parallelismo con quel che è successo nel giudaismo, il che ci porta a concludere con una citazione biblica passando ancora per il Corano. Il versetto precedente a quello che istituisce la pratica dichiara:
"O voi che credete, vi è stata prescritta l'astensione così come era stata prescritta a coloro che [sono venuti] prima di voi, affinché foste timorati".⁷
Il riferimento sembra essere alle precedenti religioni abramitiche, dove in effetti il digiuno era già praticato. Ora, andando a sondare la Bibbia, il passo più vicino ad un'ingiunzione divina pertinente il digiuno è il seguente:
Questa sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, nel decimo giorno del mese, vi umilierete, vi asterrete da qualsiasi lavoro, sia colui che è nativo del paese, sia il forestiero che soggiorna in mezzo a voi. Poiché in quel giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti al Signore.⁸
Come evidente, non è riscontrabile un vero e proprio comandamento esplicito a digiunare, ed è stata piuttosto la tradizione ebraica a interpretare in questo senso il passo. Ciò al netto del fatto che l'attendibilità dei resoconti biblici è parificabile a quella degli aḥādīth, non avendo noi a disposizione un originale su cui esaminare minuziosamente (come è invece possibile fare col Corano di cui abbiamo l'originale) ogni singola parola. Nessuno può dire con certezza cosa si intendesse, come fosse l'originale, di quel 'umiliarsi', 'astenersi', 'purificarsi'. Quel che è certo è che dall'interpretazione di codici rapportabili a quelli in nostro possesso, o già a partire da altri andati perduti, si è poi sviluppata la festività dello Yom Kippur, alta solennità ebraica chiamata dai sefarditi "Digiuno Bianco", e la pratica di digiunare anche in altre evenienze catalogate e descritte nel trattato Ta'anit (fissato non prima del II secolo d.C, verosimilmente nel V-VI come i canoni talmudici). Essendo queste pratiche in uso prima della rivelazione coranica, anche presso i cristiani, è quindi possibile fare due ipotesi: l'interpretazione dell'astensione come digiuno potrebbe essere stata influenzata dalle usanze delle "Genti del Libro" (così sono definiti nell'islam, con ovvia allusione alla Bibbia, i precedenti monoteismi rivelati) oppure l'interpretazione dell'astensione come digiuno potrebbe aver seguito lo stesso processo, in parallelo ma senza influenza diretta.
Stabilire quale delle ipotesi sia più corretta esula però dal fine di questa analisi, il cui scopo principale rimane quello di illustrare il tema indicato nel titolo. Con questo colgo l'occasione per chiudere augurando un fruttuoso periodo di astensione a tutti quelli che si accingono a praticarla. In qualunque modo decidano di farlo. Durante Ramaḍān e oltre.
¹ Corano 2:185.
² Corano 19:22-34.
³ Corano 2:187.
⁴ Ṣaḥīḥ al-Bukhārī, Il principio della Rivelazione, sulla base della traduzione di V. Vacca in Detti e fatti del profeta dell'Islām, UTET, 2009.