'Orientalistica' è un termine generico usato in Occidente per definire l’insieme di discipline rivolte allo studio delle civiltà del Medio Oriente, dell’Asia e in senso lato anche dell’Africa. In sintesi, lo studio di tutto ciò che fino alla scoperta delle Americhe era l’Altrove. Sempre meno utilizzato in questo senso generalista, è però un termine utile per inquadrare l’ottica con cui la civiltà occidentale, e la Cristianità che per lungo tempo con essa si è identificata, si è rapportata dal Medioevo fino all’Età Moderna con le culture altre. E il fatto che per lungo tempo l’Oriente conosciuto sia coinciso in Europa con il mondo arabo-islamico, rendendolo l’alterità per eccellenza, è la dimostrazione di come esso abbia giocato un ruolo chiave, tanto di cesura con l’Oriente Estremo quanto di ponte fra le varie parti del Vecchio Mondo.
Infatti l’Islam, pur essendo inevitabilmente caratterizzato dalle sue origini nella Penisola Arabica, rigetta in via teorica di coincidere con un’istanza nazionalistica e si presenta anzi come sistema universale ed inclusivo già a partire dal Corano ( “A Dio appartengono l’Oriente e l’Occidente, ovunque vi volgiate lì c’è il Suo volto”1) e da tendenze nella Tradizione (“Cercate la conoscenza fino in Cina” recita un famoso detto attribuito al profeta Maometto). Come detto, questa è teoria, perché già durante il califfato degli Omayyadi si manifestò da parte degli arabi un certo suprematismo, presto ridimensionato dalla dinastia che prese il comando della Ummah, quegli Abbasidi così inclini alla promozione della cultura persiana. Il suprematismo arabista si manifestò periodicamente, così come ne vennero fuori di altri (notabilmente quello persiano nell’area iranica e quello turco nell’Impero Ottomano), sempre però mitigati dalla vocazione universalista dell’Islam costituzionale, quello coranico. Nonostante le resistenze, ciò gli ha permesso di radunare, dalle steppe dell’Asia centrale alle coste dell’Africa meridionale, dalle sabbie del Sahel fino alle giungle della Nuova Guinea, le più disparate componenti etniche, e con esse le conoscenze delle quali queste erano già in possesso. Basti pensare che attraverso il mondo islamico sono giunti fino a noi dall’India il sistema decimale e i numeri ancora oggi definiti "arabi" (e con essi l’algebra, le equazioni, gli algoritmi, eccetera), dalla Cina la carta, la polvere da sparo e la bussola, dalla Persia le più avanzate conoscenze astrologiche, chimiche e mediche e persino, da quello che fu il mondo ellenistico, le versioni di numerosissimi trattati di filosofia greca che in Europa erano scomparsi dalla circolazione per secoli. Forse proprio per questo il mondo islamico ha finito per diventare nell’immaginario occidentale una sorta di contenitore per ogni esotismo. Non a caso nelle operazioni di controcultura, tanto a partire dal mondo islamico quanto internamente a quello occidentale, si sta sostituendo al concetto classico di 'orientalistica' la semantica connessa al termine 'orientalismo', che ha una connotazione negativa perché evoca la sfumatura eurocentrica, paternalistica e predatoria con cui l’Occidente ha spesso rappresentato l’Oriente2.
Non si può tuttavia negare che, pur inevitabilmente condizionati da un’ottica inizialmente definibile come proto-orientalista, gli studi specifici hanno portato gradualmente ad un approccio meno grossolano nei confronti dell’Islam. La prima traduzione nota del Corano in lingue europee fu commissionata dall’abate di Cluny Pietro il Venerabile ad un apposito gruppo di monaci, fra i quali vi era un ebreo convertito al Cristianesimo che conosceva l’arabo. Il lavoro, in latino, fu completato nel XII secolo e, nonostante fosse parziale e con scopo unicamente apologetico, ebbe tale fortuna da costituire la base per la prima versione stampata del Corano, ad opera di Bibliander, pubblicata a Basilea nel 1543. In seguito giunse la più accurata traduzione, sempre in latino, ad opera del chierico Ludovico Marracci, che dette alle stampe il suo lavoro a Padova nel 1698, dopo quarant’anni di studio approfondito del Corano e di molte altre fonti arabe. Ai giorni nostri si è particolarmente distinto per lo studio dell’Islam il teologo ed orientalista francese Louis Massignon, i cui contributi alla riflessione cattolica sono stati tra le influenze che hanno portato ad approfondire quello che originariamente doveva essere il documento Decretum de Judaeis nella più estesa dichiarazione conciliare Nostra aetate, il cui terzo punto sancisce: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta [...] Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione” 3. Le fa eco il più recente Catechismo della Chiesa Cattolica, sintesi ufficiale della sua dottrina, che arriva ad affermare: “Il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale”4.
Certamente non sono neanche mancati, tra Oriente islamico e Occidente europeo, gli elementi di divisione, ma la lista di quelli che ne mettono in luce la vicinanza è, seppure meno appariscente, più lunga. E come non annoverarvi, accogliendo una ricostruzione che sembra sempre più verosimile, gli input che oggi ci arrivano da un’opera come La Divina Commedia? Detto brutalmente - anche se fatti non fummo ad esprimerci come bruti - l’opera fondativa della lingua italiana risulta costruita con la stessa cornice narrativa con cui, in generi letterari chiamati Isrā’ e Mi’rāj, è stato descritto il miracoloso trasporto in cielo di Maometto. Ciò è stato rilevato, o meglio riportato alla luce, da vari autori5, primo fra tutti il sacerdote spagnolo Miguel Asín Palacios, agli inizi del secolo scorso.
La storia è ormai nota: per volere di Alfonso X il Savio, sovrano particolarmente arguto e interessato a carpire le conoscenze dei precedenti dominatori della Penisola Iberica, alcuni di questi racconti, che narrano più o meno le stesse vicende, furono tradotti dall’arabo in castigliano, latino e provenzale, e cominciarono così a circolare, con titoli come Liber Scalae Machometi (il "Libro della Scala"), in ristretti ambienti intellettuali dell’allora Cristianità. La cosa non sarebbe di particolare rilievo se non fosse che tutto ciò avvenne qualche decina d’anni prima che Dante Alighieri si apprestasse a vergare la sua Commedia, e che le analogie fra le due opere si sprecano.
Innumerevoli autori si sono adoperati per negare questa possibilità, altri ancora vorrebbero sfruttarla per fare proselitismo, quanto alle scuole generalmente non se ne parla o lo si accenna di sfuggita. Quel che è certo è che, per Dante, rivelare una simile influenza sarebbe stato un grosso problema. Non dovrebbe sorprendere né scandalizzare, anche accettando questa ricostruzione, la rappresentazione di Maometto e del quarto califfo ’Alī nel modo in cui tutti i suoi conterranei si sarebbero aspettati: con ben poca accondiscendenza. Ma rileggendo attentamente le quartine dantesche c’è un dettaglio su cui non ci si sofferma mai abbastanza: la collocazione è fra gli scismatici. Non fra i pagani, né fra i bestemmiatori, né tra i falsari o gli eretici. La loro colpa sarebbe quindi quella di aver fatto due di una sola religione. Se Dante intendesse instillare nei suoi lettori il pensiero della comune natura fra Cristianesimo e Islam, o se si riferisse allo scisma interno all’Islam fra sunniti e sciiti, a sua volta interno al Cristianesimo, o se volesse intendere entrambe le cose e altro ancora, non è semplice dirlo. Così come rimane un enigma il posizionamento di pensatori islamici come Averroè ed Avicenna nel limbo, insieme ai grandi pensatori pagani che hanno preceduto la Cristianità e informato il nascente Umanesimo. Il chiamare in causa la figura di ’Alī, difficilmente giustificabile se non in relazione alla divisione fra sunniti e sciiti, tradisce conoscenze che al tempo erano riservate agli specialisti, e non si accorderebbe con l’eventuale ignoranza della natura prettamente islamica dei suddetti filosofi, per giunta quasi contemporanei di Dante. Detto questo - e tacendo di molto altro che ci sarebbe da dire - niente si dovrebbe togliere alla magnificenza della Divina Commedia, che semmai mostra un’ulteriore dimensione, definibile quasi come orientalista ante litteram. Proprio per celarla agli occhi di chi non avrebbe potuto capire, il cauto poeta avrebbe nascosto le figure di Maometto e del quarto califfo ’Alī sotto ’l velame de li versi strani. Come Dante, ha fatto, e continuerà a fare, chi si incarica di traslare nei canoni della propria cultura ciò che di più sottile è stato codificato in altre.
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1 Corano 2:115.
2 Ciò è dovuto in gran parte al successo delle tesi esposte dall’intellettuale arabo-statunitense Edward Said, nell’omonimo saggio pubblicato per la prima volta nel 1978.
3 Nostra aetate, 3, dichiarazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 1965.
4 Catechismo della Chiesa Cattolica, 841, Libreria Editrice Vaticana, 2017.
5 A. Celli, Dante e l’Oriente. Le fonti islamiche nella storiografia novecentesca, Carocci, 2013.
Estratto da L’alfabeto dell’Islam. Edizione riveduta e ampliata © Alessio Pinna 2025 - Tutti i diritti riservati / All rights reserved. Per contatti e autorizzazioni: studicomparativi@gmail.com