Il concetto di Spirito Santo (Rūḥ al-Qudus, in arabo روح القدس) è menzionato nel Corano quattro volte (2:87; 2:253; 5:110; 16:102). Da solo o in altre combinazioni, lo Spirito (Rūḥ) è citato in tutto ventuno volte, ma in questo articolo mi concentro primariamente sulle quattro in cui è appellato esplicitamente Santo. Di queste, solo una, il versetto 16:102, si riferisce alla rivelazione ricevuta da Maometto, cioè al Corano stesso. Il versetto è il seguente:
Lo ha fatto scendere lo Spirito Santo, [proveniente] dal tuo Signore. In verità, per rinfrancare coloro che credono, e come guida e buona novella per coloro che si riappacificano.
Le altre tre occorrenze sono in relazione a Gesù. Lo Spirito Santo qui è definito invariabilmente come ciò che conferma la sua missione profetica, e non è quindi identificabile direttamente con lui, né direttamente con Dio, ma - analogamente a quanto avviene con il Corano stesso - come un suo atto. Ciò serve anche a riportare ordine nella concezione di Dio, turbata, secondo il Corano, dalle speculazioni trinitarie.
Nella Tradizione islamica è però prevalsa un'interpretazione materialista di tutto questo, e Rūḥ al-Qudus è stato identificato come l'interlocutore unico di Maometto, l'Arcangelo Gabriele*. In realtà, nel Corano manca questa associazione definitiva, o comunque esplicita. Tralasciando le congetture in merito plasmate dalla Sunna, su base esclusivamente coranica è legittimo ritenere che l'identificazione dello Spirito Santo con Gabriele sia, oltre che un'interpretazione affatto letterale, una riduzione, un'ipersemplificazione, e che Rūḥ al-Qudus abbia una più ampia gamma di significati, di cui quello concretizzatosi nell'operato degli angeli è solo uno dei tanti.
Per capire quali e quanti altri possano essere, possiamo usare, invece che le raccolte aḥādīth che ci porterebbero sulla stessa strada percorsa dalla Tradizione, il metodo del tafsīr al-Qur'ān bi_l-Qur'ān, cioè l'interpretazione di elementi coranici attraverso altri elementi dello stesso Corano. Dobbiamo quindi andare a vedere che valenze ha altrove il concetto di Rūḥ. Fra i passi che lo riportano, ve ne sono due signicativi identici, 15:28-29 e 38:72, dove dell'Uomo si dice, nel simbolo della creazione di Adamo, che Dio gli ha soffiato dentro il proprio Spirito. Riporto il primo.
Il tuo Signore disse agli angeli: «Creerò l'Uomo con argilla secca, impastata di fango. Quando poi lo avrò plasmato, e avrò soffiato in lui del Mio spirito, prosternatevi al suo cospetto».
In questo caso, Rūḥ rappresenta ciò che attiva l'essere umano, lo rende ciò che è, ed è identificabile come ciò che più lo distingue dalle altre forme di vita a noi note: il pensiero riflessivo, la coscienza di sé, per qualcuno l'anima. Qualunque cosa sia, nella logica coranica espressa in innumerevoli passaggi che non serve elencare, deve servire all'Uomo, oltre che per vivere, anche e soprattutto per riconoscere l'esistenza e la sovranità di Dio, ovvero per tornare a lui. Questo è descritto come l'estremo e unico vero successo dell'esistenza umana.
Questa facoltà non è però illimitata, così come l'Uomo non è - nella teologia coranica - al centro del cosmo al posto o insieme a Dio, e a ricordarcelo c'è il passo racchiuso nei versetti 17:85-87. Qui lo Spirito non è definito Santo, ma è chiaro che i concetti sono, seppure non identici, collegati, anche perché si tira in ballo esplicitamente la Rivelazione.
[O Maometto] ti chiederanno a proposito dello Spirito. Rispondi: «Lo Spirito proviene dall'ordine del mio Signore e non vi è stato concesso se non poco sapere [a riguardo]. Se volessimo, potremmo ritirare ciò che ti abbiamo rivelato e non potresti trovare alcun [valido] oppositore contro di noi. Se non [fosse che vi spetta] una grazia da parte del tuo Signore, poiché, in verità, la Sua su di te è grande».
Nel Corano, lo Spirito Santo è quindi correlato da una parte al processo con cui Dio si rivela, ovvero comunica con le sue creature, e dall'altra a concetti astratti come la coscienza, la ragione, la parte più nobile dell'essere umano ovvero l'anima. Parte che, come detto, per il Corano trova pieno compimento solo nel rivolgersi verso Dio. Dunque, le direzioni sono due, speculari: da Dio verso le creature e da queste, di ritorno, verso Dio. Le sfumature possibili sono anche altre, ma queste sono le principali.
Tutto ciò non è estraneo alle altre religioni abramitiche, e a quella cristiana in particolare, cosa che il Corano non nasconde ma anzi esalta associando per ben tre volte Rūḥ al-Qudus a Gesù. È stata piuttosto la Tradizione, con una selezione nella vasta gamma di significati, ad averne preso le distanze con la preponderante sovrapposizione dello Spirito Santo con la figura di Gabriele. Questa non è da escludere, e anzi, nella veste di rappresentazione di tutto il processo comunicativo messo in opera dagli angeli, è sicuramente presente nel Corano. Ma si tratta solo di un fenomeno di quella che è, in definitiva, una dinamica più ampia e significativa, perché universale: la relazione diretta fra il Creatore e le sue creature, che è già definita santa nel momento in cui procede dal primo verso le seconde, e che - per logica intrinseca - può portare quest'ultime a santificarsi nel momento in cui, rispondendo alla chiamata, stabiliscono la connessione.
____________
* Ciò è vero soprattutto per il sunnismo, mentre nello sciismo la definizione è più sfumata, e il consenso su come intendere il concetto è minore. Da segnalare poi che nel sunnismo, come spesso accade, la dimensione esoterica del sufismo permette interpretazioni alternative a quella ritenuta ortodossa, o comunque divenuta maggioritaria.