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Is animeddas |
Dolcetto o scherzetto? |
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Dolcetto o scherzetto? |
A suo tempo Theodor W. Adorno sostenne che ogni cultura è impossibile dopo Auschwitz. Questa frase definitiva e paradossale deve essere presa sul serio. Prenderla sul serio vuol dire interpretarla. E noi la interpretiamo così: dopo Auschwitz la cultura, ed in particolare quella parte della cultura che è la teoria sociale e filosofica, non può più fare come se Auschwitz fosse un doloroso incidente di percorso nel progresso civile dell'umanità, ma deve comprendere bene Auschwitz perché non si possa più ripetere in futuro. I verbi sono dunque due: in positivo comprendere, in negativo ripetere. Se si comprende bene la natura storica profonda di Auschwitz, vi sono buone possibilità che si attivino strategie preventive di tipo culturale, storico, politico e pedagogico per evitarne la ripetizione. Ebbene, è proprio questo che non viene fatto, ed è anzi attivamente impedito, dalla strategia culturale dominante oggi, che tende ad interpretare il nazionalsocialismo tedesco come l'irruzione del demoniaco nella storia, un'eccezione diabolica assolutamente unica ed imparagonabile a nessun'altra nella storia moderna e contemporanea. Questa strategia della eccezionalità criminale è certo animata da buone intenzioni, e considera ogni proposta culturale di 'collocazione' del nazismo dentro la storia tedesca, europea e mondiale del Novecento una colpevole 'banalizzazione' della sua specificità negativa, lo sterminismo razzista che ha trovato nel sistema dei Lager il suo luogo di applicazione. È evidente che bisogna rispettare le buone intenzioni di chi propone questa linea storiografica per interpretare la natura storica del nazionalsocialismo tedesco di Hitler: trasformandolo in un diabolico tabù negativo si pensa di ottenere lo scopo di evitarne in futuro la ripetizione in condizioni analoghe. Ma la via per l'inferno è lastricata di buone intenzioni. Il nazionalsocialismo tedesco (prescindendo qui dalle questioni del pangermanesimo e della geopolitica europea nel Novecento) ha portato al massimo livello di legittimazione ideologica e di efficienza organizzativa il massacro amministrativo. Il problema storiografico principale è dunque la natura e la dinamica del massacro amministrativo attuato dal nazionalsocialismo in particolare nei confronti degli ebrei, ma non solo (e si pensi alle politiche di tipo eugenetico, di sterilizzazione e di eutanasia dei malriusciti, condivise negli anni Trenta persino dalle insospettabili socialdemocrazie scandinave).
E ancora si noti con quanta disinvoltura innumerevoli intellettuali, tanto di indirizzo teo/neo-conservatore quanto progressista, usino nelle loro analisi una terminologia che equipara l’aggettivazione “giudaicocristiano” a “occidentale”, per esempio riguardo ai valori di riferimento.
Ma perché si arrivasse a tutto questo i sentimenti di empatia e di identificazione non sarebbero forse bastati se non si fossero venuti a creare altri fattori determinanti. Uno come accennato è la comparsa del citato Stato di Israele, che sempre più cristiani vedono come una manifestazione di profezie bibliche (inglobando quindi nella propria dottrina un’esegesi letteralista della Bibbia che è quella propria non del cristianesimo ma del giudaismo post-veterotestamentario), e l’altro è l’evento a esso indissolubilmente collegato, di proporzioni colossali sul piano storico quanto per le implicazioni teologiche: la Shoah.
Senza soffermarci oltremisura su questo pur cruciale elemento, pensiamo al fatto che ci si riferisce a tale avvenimento con la parola Olocausto, che letteralmente indica un sacrificio a scopo devozionale, e che solo per questo tragico evento usiamo la “O” maiuscola, come se indicassimo il sacrificio per eccellenza. Ovviamente nella dottrina cristiana questo è teoricamente quello di Cristo in croce, e in generale lo era per il sentire dei cristiani prima di tale avvenimento. Qua c’è evidentemente un qualcosa che tocca la sfera del Sacro ed è interessante a questo proposito rilevare che l’archetipo del sacrificio di Dio è proprio del cristianesimo e non del giudaismo post-veterotestamentario, a ulteriore riprova del fatto che la dinamica che stiamo esaminando è fondamentalmente un movimento del primo in direzione del secondo. O pensiamo al fatto che in molti Paesi occidentali è reato condurre delle ricerche sulla Shoah che possano arrivare a ridimensionarne in qualche modo la versione storicamente accertata o anche solo discuterne in modo improprio a livello di opinione personale. Anche qua non è necessario approfondire la questione, e meno che mai mettere in dubbio le dinamiche e le cifre ufficiali della Shoah, ma solo rilevare che se una verità è dispensata dall’indagine scientifica e non si può trattare soggettivamente è perché evidentemente gode di uno status paragonabile con le debite contestualizzazioni a quello che fino a prima dell’era moderna era riservato nella Cristianità alle sole verità di fede cristiane. Al contrario nessun legislatore oggi si sognerebbe mai di emanare una legge per condannare chi metta in dubbio, per esempio, la storicità della vita e della morte di Gesù Cristo.
E così via potremmo citare sentenze divenute di senso comune come «Dov’era Dio ad Auschwitz?»[4] o «Dio è morto ad Auschwitz»[5] in cui il campo di concentramento sembra diventare un nuovo e tangibile Calvario e Adolf Hitler con i suoi esecutori i carnefici per eccellenza. E ancora rilevare come nel continuo e doveroso riportare alla memoria quella immane tragedia ci sia una perenne riattualizzazione – proprio come una continua ripetizione è quella del memoriale della morte e della resurrezione di Cristo – cioè una sorta di liturgia laica nella quale le massime autorità sono coloro che l’hanno vissuta in prima persona, o coloro che sono deputati a portarne il ricordo, e alla quale tutti i cittadini sono chiamati a partecipare. Tutti, a prescindere dal credo o dal non-credere, perché ciò che rappresenta è alla base stessa della scala di priorità che si è data la civiltà nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, e per questo non può essere relegata, come ormai avviene nella nostra società per le espressioni religiose tradizionali, alla sfera personale o di comunità specifiche.
[4]cfr. Elie Wiesel, La Notte (Giuntina, 1986).
[5]cfr. Richard L. Rubenstein, After Auschwitz (John Hopkins University Press, 1992).